Paolo Cannova, ambizione e passione per il tennis, al fianco di Salvo Caruso
Quando Paolo Cannova ha cominciato la sua carriera da coach aveva 25 anni e pur calcando come player i campi da sempre, manteneva e ha tuttora una grande fame di tennis e la voglia di migliorarsi sempre. Palermitano, classe 1974, ha raggiunto la posizione numero 840 in singolo e 480 in doppio con la guida del Maestro Giampaolo Coppo e quindi già conosceva il circuito professionistico e le sue dinamiche ma aveva una idea fissa: quella di “incidere” nella crescita tecnica ed umana di quelli che sarebbero diventati i suoi allievi. Diventa Maestro nazionale FIT e poi International Coach, nel 2000. Finora nella sua carriera ha partecipato a 26 tornei dello Slam. Nel corso della sua carriera ha lavorato sul campo con Lleyton Hewitt, ex numero 1 del mondo, Monica Seles, ex numero 1 WTA, Navratilova, Hingis, Serena e Venus, Clijsters ed Henin, tutte number one, aggiungendo la coppia WTA Black-Stubbs, vincitrici di due prove dello slam. E moltissimi altri campioni e campionesse che si fa fatica a citare tutte per quante sono.
Come hai cominciato da coach, Paolo?
Con il mio amico Claudio Rodilosso nel 2001 abbiamo creato una società di servizi, la “First on the Court”, attraverso la quale offrivamo alle ragazze del circuito WTA vari servizi: i più richiesti erano Coaching, Sparring Partner e Fitness Training. Giravamo i tornei di tutto il mondo, da Wimbledon al Roland Garros, Us Open, Australian Open, Los Angeles, Roma… e avevamo tra le nostre clienti le sorelle Williams, che spessissimo utilizzavano i nostri servizi, la Hingis, Justine Henin, la Clijsters, e tante altre come la Navratilova. Pensa che a Roma un anno abbiamo lavorato con la bellezza di 22 ragazze, praticamente l’intero tabellone.
Poi ad un certo punto hai deciso di provare la carriera da Coach in proprio…
Esatto. Mi ero fatto conoscere nel circuito WTA e avendo seguito da vicino tanti coach di livello mondiale avevo acquisito tante metodologie di allenamento differenti, imparando giorno per giorno, avendo anche tanta sete di sapere. Anche grazie all’amico Carlos Rodriguez, allenatore storico di Justine Henin entrai in contatto con una ragazza polacca, Marta Domachowska e decidemmo di collaborare. La presi che era numero 70 del mondo e l’ho condotta alla posizione numero 37 del ranking WTA che è stato il suo best ranking di sempre. Facemmo la preparazione invernale a Palermo, location, come tutta la Sicilia, perfetta per prepararsi e allenarsi in condizioni climatiche eccellenti, e poi per 18 mesi abbiamo girato il circuito con risultati davvero soddisfacenti. Non è facilissimo lavorare con ragazze provenienti dall’est europa, c’è una cultura differente, devi entrare nelle loro dinamiche emotive, e spesso i genitori di queste ragazze sono assai presenti e devi gestire anche quel tipo di rapporti. Grazie anche a questa esperienza, che mi ha formato molto, mi sono fatto la fama di “coach mentale”, oltre che tecnico-tattico.
Dopo la Domachowska chi hai avuto?
Sono rimasto nel circuito WTA seguendo Stephanie Cohen-Aloro, una francese che era scesa un po’ in classifica e che ho aiutato a risalire un po’ agendo anche molto sul piano psicologico, ma è molto difficile ritornare in auge quando scendi di classifica e di livello. In realtà lei non ha trovato dentro di sé quelle motivazioni che sarebbero state necessarie per migliorarsi ancora, servono una intensità e una energia mentale pazzeschi, solo pochi ci riescono, pensa a Robredo ad esempio, che è proprio qui a Genova e che, a seguito di un infortunio, riparte dai challenger dopo essere stato numero 5 al mondo e tra l’altro è la seconda volta che è costretto a ripartire quasi da zero. Se hai un fuoco dentro del genere allora il coach deve soffiarci dentro e lavorare, ma se la fiammella è spenta c’è poco da fare.
Più tardi ti sei spostato a Firenze…
Sì, ho avuto una proposta interessante, in un circolo come il TC Firenze, uno dei più importanti d’Italia e ho gestito per intero la scuola tennis.
Una bella esperienza, poi interrotta per la voglia di rientrare nel circuito Pro…
Proprio così. Tra le ragazze che fruivano dei nostri servizi ai tempi c’era Cara Black, numero 1 del mondo nel 2005 in doppio, con la quale avevo instaurato un rapporto di amicizia magnifico, che conservo tuttora, una bella persona anche sul piano umano. In quel momento lei giocava in doppio con la australiana Stubbs: Cara era una giocatrice eccezionale con un talento cristallino e una personalità più dolce e tranquilla rispetto alla Stubbs che possedeva un carattere dominante e difficile da controllare. Perciò il mio intervento come coach fin da subito si concentrò sul tentativo, riuscito, di far star bene la coppia anche fuori dal campo. Agimmo a livello mentale ed emotivo e ritrovando serenità la coppia funzionava anche a livello tecnico e tattico. Più tardi Cara Black fece coppia con Liezel Huber, sudafricana poi diventata statunitense ed anche lì la chiave fu la gestione del rapporto tra le due ragazze.
Poi però ti sei orientato sui maschi, è così?
Yes, al Match Ball di Siracusa, con Nico De Simone, ho trovato una struttura interessante con giovani di prospettiva: c’erano Caruso, Eros Siringo (anche lui di Avola come Salvo), Zito che ora è negli States al college e Massara, che era giovanissimo e già talentuoso.
Veniamo a Caruso, qui a Genova impegnato nel torneo di qualificazione: si era avvicinato alla top 200 e ora la sua classifica è un po’ in calo.
In realtà sono soddisfatto del suo livello di gioco. Quest’ anno abbiamo fatto una programmazione ambiziosa andando in Australia e a Wimbledon a giocare i nostri primi due slam che abbiamo mixato con tanti Challenger a tanti quali ATP e quali di Master Series A Roma siamo entrati nel Main Draw contro Kyrgios poi quali a Montecarlo, quali Indian Wells, quali Estoril e sapevamo che questa programmazione era ambiziosa ma che presupponeva dei rischi in classifica, al momento la classifica non ci dà ragione ma io sono sicuro di avere fatto qualcosa che lo aiuterà professionalmente e ci darà i frutti in un prossimo futuro.
Come è cresciuto nel tempo Salvo?
Quando abbiamo cominciato era un 2.5, senza punti ATP. Mi colpì perché aveva qualità fisiche innate e soprattutto attitudine al lavoro. Esteticamente era buono come colpi, ma pur non avendolo stravolto avevo individuato delle lacune che col tempo abbiamo colmato.
Ad esempio?
Per cominciare il diritto: lo giocava con un punto d’impatto troppo arretrato. L’arretramento istintivo generale durante i colpi era dovuto principalmente alle spalle e al braccio non dominante da controllare meglio. Il rovescio è sempre stato il suo colpo naturale e quindi abbiamo lavorato sulla solidità. Il servizio poi, col passare del tempo, lo abbiamo trasformato da semplice rimessa in gioco a colpo di costruzione del punto, attraverso la varietà e la scelta degli angoli. Infine abbiamo lavorato sul gioco di volo e ora Salvo cerca la rete più spesso.
Come è la sua programmazione adesso?
Dopo Genova (è uscito al secondo turno di quali, ndr) facciamo 4 settimane sul cemento americano: Tiburon, Stockton, Fairfield e Las Vegas, Salvo sul veloce si trova a suo agio e sa giocare molto bene. L’obiettivo sarà proprio quello di trovare la consapevolezza dentro di sé, che il suo livello è salito già da un po’ anche se i risultati sono stati inferiori alle aspettative.
Paolo, so che ritieni il doppio molto utile per i ragazzi e che quando le situazioni logistiche lo permettono vi iscrivete anche al tabellone di doppio, ci spieghi perché lo consideri così utile?
Il doppio diventa davvero molto utile per vari aspetti: il servizio, perché si cerca di trovare gli angoli ad esempio, poi anche per la risposta e per il gioco al volo, pensa solo al training sulla reattività, con la velocità con cui ti ritornano le palle. Son tutti fondamentali che è importante allenare in fasi di gioco agonistico di alto livello, ed, essendoci meno pressione rispetto al singolare, si riesce anche a far andare il braccio.
Tu hai allenato doppiste di livello mondiale come Cara Black, che differenza c’è con l’allenare un singolarista?
C’è una differenza sostanziale. Una tennista sceglie di concentrarsi sulla specialità del doppio generalmente quando vuole allentare un po’ la grande tensione e pressione psicologica che c’ènel singolo, e quindi di conseguenza anche abbassare l’intensità del lavoro, però rimanendo professionista a 360 gradi. Per cui si predilige un lavoro sull’affiatamento tattico ed umano con il partner di gioco, e si dedica meno attenzione al discorso puramente atletico. L’ideale è avere sempre lo stesso partner, quando si trova l’intesa, ma non sempre questo è possibile. Io dico sempre che in doppio si vince facendo le cose semplici fatte bene e con costanza. In pratica di veramente importante nella specialità del doppio c’è che i 2 giocatori abbiano la capacità di muoversi come uno solo, trovando la sincronia nelle posizioni. Hai presente le parate militari dei cinesi o dei russi? Si muovono 500 uomini per fare la coerografia ma è come se si muovesse uno solo.
Che lavoro è quello da coach?
Guarda, questo lavoro può essere spinto solo da una passione sconsiderata per il tennis e l’insegnamento di questo sport… lasciare la famiglia, i figli, gli affetti a casa mentre si sta in tour, e avere la certezza matematica che i guadagni in un circolo sarebbero di gran lunga superiori deve far riflettere…
Ora da circa 2 mesi al team Caruso-Massara si è aggiunto Alessandro Giannessi…
Credo che “Gianna”, con il quale c’è adesso una collaborazione full time, e Salvo si possano completare come caratteristiche attitudinali e che l’uno faccia bene all’altro.
Giannessi, una settimana fa agli US Open, per la prima volta si è qualificato per uno slam, prima volta anche nel’aver superato un turno nei main draw, e poi 2 set giocati alla pari con Wawrinka, numero 4 del mondo, quanto ha influito la vostra collaborazione, Paolo, in questo exploit?
I meriti sono i suoi e di chi lo ha allenato fino a qualche tempo fa, ma l’aver lavorato su alcuni dettagli in questi mesi di collaborazione è stata la chiave per arrivare al miglioramento delle prestazioni. Con tennisti come Giannessi pensare di operare cambi radicali è utopia, si lavora sul particolare, e ci può stare l’intuizione giusta per quel piccolo passo in più che serve per ottenere un risultato come quello dell’US Open.
Di Antonio Massara che mi dici?
Antonio è un classe ’95 e da Junior era tra i più promettenti. L’ho seguito per anni nei tornei giovanili, poi ha fatto un po’ di fatica nel salto a livello pro, ma a fine agosto ha conseguito il suo best ranking al numero 465 ATP, ha fatto ultimamente 3 semifinali in tornei futures e ha finalmente trovato continuità. Poi tra gli allievi che sto curando si aggiunge anche un ragazzo che merita, si chiama Alessandro Ingarao, un classe 1999, siracusano, già aggregato ai più “grandi”.
Chi ti piace dei giovani in circolazione?
Uno dei miei preferiti è Kokkinakis, mi piace la sua “imponenza” durante lo svolgimento del gioco. È sempre propositivo, mai attendista o difensivista. Lo vedi giocare e hai sempre la sensazione che domini le varie situazioni di gioco.
E dei giovani azzurri?
Dei nostri sia io che Salvo stimiamo e ci troviamo benissimo con Lorenzo Sonego. È un ragazzo d’oro e non puoi non volergli bene, parlo anche per Salvo in questo caso. Tra l’altro ha proprio un bell’atteggiamento, sempre positivo, in campo e fuori, questo è importante per la sua crescita.
Ringraziamo Paolo Cannova, coach stimato e persona di grande valore umano, gli facciamo i migliori in bocca al lupo per i prossimi impegni e gli diamo appuntamento alle prossime manifestazioni tennistiche.
Intervista del settembre 2016 a Genova
Alessandro Zijno