Terza Guerra Mondiale? Perché NON succederà. Il ruolo fondamentale della Cina e gli scenari più probabili spiegati semplicemente
Sarebbe stato più produttivo per me che ho un sito e ho bisogno di visualizzazioni, scrivere che ci avvicinavamo alla terza guerra mondiale. Ma sarebbe stato un inutile allarmismo. Oltre che una probabile previsione azzardata. Andiamo invece ad analizzare la situazione e proviamo a fare chiarezza.
Tutti sappiamo ormai che la Russia ha di fatto invaso l’Ucraina, ma vediamo cosa ha spinto Putin ad accelerare le tappe.
PERCHE’ La Russia ha aggredito L’Ucraina
Che l’azione militare fosse imminente l’aveva segnalato il discorso con cui Vladimir Putin ha annunciato alla nazione il riconoscimento delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, nel Donbass, preambolo necessario all’attacco in nome della difesa della popolazione russofona di quelle regioni. Putin ha parlato nei mesi scorsi attraverso la sua propaganda di “cittadini russi abusati, vittime di violenze e soprusi in Ucraina”, in pratica di “GENOCIDIO”. Tutto questo per giustificare agli occhi della opinione pubblica russa l’aggressione militare all’Ucraina.
Putin può essere stato convinto a procedere così velocemente da due ordini di ragioni: interne ed esterne.
Le ragioni interne sono proprio quelle di partito. Putin ha provato a rilanciare la sua immagine e a usare la forza per difendersi dagli attacchi che gli sono venuti anche dal suo entourage, rilanciando e forse bluffando come in una partita di poker. Qualche indizio lo fornisce la riunione del Consiglio di sicurezza trasformata in una scena di teatro, lunedì, con tutti i più stretti collaboratori del presidente chiamati a dichiarare in diretta tv il loro appoggio al riconoscimento del Donbass. Il capo dei servizi di intelligence Sergej Naryškin ne è uscito a pezzi, incalzato dal presidente a rispondere e due volte inciampato in risposte sbagliate: prima ha suggerito di dare un’ultima chance al negoziato con l’Occidente, poi ha farfugliato una correzione, tracollando in un lapsus: favorevole “all’annessione” e non al riconoscimento del Donbass. Visto che l’irrituale seduta del Consiglio di sicurezza sarebbe stata registrata, l’umiliante passaggio poteva essere tagliato. E invece no.
La galassia di Putin
Nulla del genere era mai successo. Applicando con toni a tratti beffardi la logica del ‘o sei con me, o contro di me’, Putin ha blindato la fedeltà dei membri del Consiglio: se l’operazione Ucraina dovesse finir male, tutti ne porteranno le conseguenze del capo. Nessuna defezione possibile, quindi qualche defezione temuta.
Sembra non casuale, ad esempio, che nel dossier appena spuntato sui conti bancari in Costa Rica del presidente ucraino Zelensky compaia anche Vladislav Surkov, ex eminenza grigia del Cremlino. L’ideologo di un lungo tratto della presidenza Putin, regista tra l’altro dell’operazione Donbass nel 2014 (fallimentare), è stato messo da parte da qualche tempo. Ma di recente è stato avvistato troppo spesso e troppo a lungo a Londra, cioè nella capitale più amata dagli oligarchi russi, che ora come non mai temono per i loro capitali all’estero e in patria.
Le ragioni esterne sono invece ovviamente di respiro internazionale e si può ipotizzare che Mosca abbia verificato che una operazione militare limitata sarebbe stata digerita dagli Usa senza eccessive conseguenze.
La Crimea e la sua importanza per l’acqua
La famosa “invasione minore” di cui ha straparlato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che a Putin permetterebbe comunque di completare l’operazione nel Sud ucraino fallita nel 2014: distacco dall’Ucraina di tutto il Donbass, non solo delle repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk, e messa in sicurezza della Crimea, con corridoio collegato alla terraferma russa e risorse idriche nuovamente garantite alla penisola. La bandiera russa che già in mattinata sventolava sulla centrale idroelettrica di Nova Kachova indica che l’acqua è obiettivo prioritario e forse già raggiunto. Da questa cittadina sul fiume Dnepr, Ucraina del Sud, inizia il canale Nord-Crimea che garantiva l’approvvigionamento idrico bloccato dagli ucraini nel 2014, fondamentale per produrre energia a basso costo.
La debolezza dell’Occidente è evidente. In Ucraina e Kazakistan gli Stati Uniti non hanno interessi vitali da difendere; tanto più da quando hanno l’autosufficienza energetica. L’Europa si è messa in una debolezza estrema con la sua dipendenza dal gas russo. I tedeschi ci hanno aggiunto sordidi conflitti d’interessi da quando il loro ex cancelliere Gerhard Schroeder entrò nel consiglio d’amministrazione di Gazprom. La crisi del gas ha una concausa cinese: l’America che è straricca di gas potrebbe aiutare gli europei a emanciparsi dall’eccessiva dipendenza dalla Russia (ogni presidente da Barack Obama in poi ha promesso di farlo); invece tante esportazioni di gas liquefatto americano sono dirottate verso la Cina che le strapaga. La Casa Bianca può fare poco, la logica di mercato riorienta le navi cisterna cariche di gas verso il cliente più redditizio.
Il problema più inquietante è nel lungo periodo e Putin lo sa: per accelerare la transizione verso zero emissioni, e anche per ridurre la propria dipendenza dal gas russo, l’Europa rischia di finire nelle braccia della Cina che ha un semi-monopolio su materie prime e componentistica dei veicoli elettrici. Il 2022 sarà l’anno dell’auto elettrica. Dietro i trionfi di Tesla, tutte le case automobilistiche tradizionali promettono di rovesciare sul mercato decine di modelli a emissioni zero: da Ford a General Motors, da Volkswagen a Stellantis. Le cellule di litio necessarie per le batterie delle auto elettriche vengono prodotte per il 79% in Cina, solo per il 7% in Europa e altrettanto negli Stati Uniti. Inoltre la Cina controlla l’80% dei prodotti chimici usati nelle batterie al litio. L’anno dell’auto elettrica e quello della resa al made in China rischiano di coincidere. Biden per lo meno ha un piano per promuovere l’industria nazionale delle batterie e ridurre i costi del 90% in un decennio. Putin quindi sa che l’Europa può usare il pugno duro solo a parole perchè senza un partner come la Russia deve poi temere maggiormente la Cina stessa.
L’Europa da sola (senza gli USA) non ha le risorse militari per dissuadere Putin in Ucraina. Non ha quelle economiche, energetiche, tecnologiche, né soprattutto la coesione politica, per divincolarsi dalla manovra a tenaglia russo-cinese. Ma gli Usa stessi preferiscono mantenere in “vita politica” la Russia almeno come player sullo scacchiere internazionale per contrastare o almeno limitare l’espandersi cinese.
Questo almeno era, e forse rimane lo scenario immaginato da Putin.
L’ambiguità della Cina sulla guerra in Ucraina
La Repubblica Popolare Cinese non vuole attirare inutilmente le ire di Washington e allo stesso tempo non vuole voltare le spalle a Mosca. Il protrarsi della crisi potrebbe accrescere le leve negoziali di Pechino nei confronti di entrambe.
Pechino non ha approvato esplicitamente l’intervento di Mosca, ma non lo ha mai neanche qualificato come “invasione”. Il presidente Xi Jinping ha detto al suo omologo russo Vladimir Putin che la Repubblica Popolare sostiene la Russia “nella ricerca di una soluzione negoziata” e che gli Usa hanno sottovalutato le conseguenze dell’espansione a est della Nato. Tuttavia Xi ha anche affermato che bisogna rispettare la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i paesi.
La doppiezza cinese emerge anche sui media controllati da Pechino. Il Global Times ha criticato l’Alleanza Atlantica per aver messo con le spalle al muro Mosca. Mentre la televisione di Stato cinese ha intervistato un consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il quale ha detto che “la Cina non gioca con la storia, a differenza della Russia”.
Quattro fattori determinano questa postura.
Primo, tra XIX e XX secolo la Cina è stata oggetto di invasioni straniere, inclusa quella russa. Gli abitanti della Repubblica Popolare potrebbero giudicare incoerente il sostegno all’operazione militare attuata dal Cremlino.
Secondo, il riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche di Donetsk e Lugansk sarebbe contrario agli sforzi che Pechino compie per impedire che movimenti secessionisti vecchi e nuovi emergano nella Repubblica Popolare (vedi nel Xinjiang e a Hong Kong) e che Taiwan annunci la propria indipendenza de iure, avendo ormai conseguito quella de facto.
Terzo, la Cina non vuole aggravare i rapporti con gli Usa e i paesi europei esponendosi eccessivamente su un dossier che non incide in maniera diretta sull’interesse nazionale. Nella Repubblica Popolare gli esperti dibattono anche sul fatto che eventuali sanzioni contro la Russia (vedi l’esclusione dal sistema Swift) potrebbero danneggiare l’economia cinese. Ennesima conferma della natura tattica ma non strategica della sintonia con il Cremlino. Proprio a inizio mese le due potenze eurasiatiche hanno siglato una dichiarazione congiunta per affermare che la loro amicizia non “ha limiti”- senza però definirla vera e propria alleanza.
Mappa Geopolitica
Quarto, la conquista cinese definitiva dell’Argentina che sta passando sotto silenzio. A margine delle Olimpiadi invernali di Pechino il presidente dell’Argentina Alberto Fernández ha firmato il memorandum d’intesa che certifica l’adesione del suo paese alla Belt and Road Initiative (Bri, nuove vie della seta), il progetto geopolitico cinese. Repubblica Popolare e Argentina hanno divulgato una dichiarazione congiunta con cui promettono di accrescere la loro cooperazione in diversi campi, tra cui energie rinnovabili, tecnologie digitali, aerospazio e uso del sistema di navigazione satellitare Beidou. A inizio mese, la società Power Construction Corporation of China si è aggiudicata la costruzione di Atucha III, un impianto di energia nucleare vicino a Buenos Aires, e di una diga per la produzione di energia idroelettrica nella provincia di Catamarca.
L’adesione alla Via della Seta rappresenta un salto di qualità per i rapporti tra i due paesi, già particolarmente consistenti nel settore energetico. Da tempo la Cina investe nell’estrazione del litio argentino, impiegato nella fabbricazione delle batterie elettriche.
In futuro Cina e Argentina potrebbero consolidare i rapporti proprio sul piano bellico. Buenos Aires sta valutando di acquistare tecnologia cinese per potenziare il proprio arsenale aeronautico. La dinamica conferma la progressiva penetrazione della Cina in America del Sud, che gli Usa considerano il proprio cortile di casa.
Fatte queste considerazioni veniamo a noi. Cosa farà il blocco Nato?
Nonostante la minaccia nucleare sbandierata da Mosca, Putin farebbe bene a non dimenticare che la Nato è un’alleanza nucleare. Cento bombe tattiche americane da 0,3 a 340 chilotoni sono dispiegate in Europa, sotto il regime della doppia chiave, a Keine Brogel, a Volkel, a Buchel e in Italia, a Ghedi, vicino Brescia. Altre sono direttamente integrate nelle basi statunitensi di Aviano e di Incirlik, in Turchia. La Francia ha il suo deterrente atomico con 280 testate pronte all’uso sui sottomarini e sui cacciabombardieri. Il Regno Unito ne ha almeno 120. Gli americani fanno storia a sé. Hanno 3.800 atomiche, 1.400 delle quali sui missili balistici intercontinentali, terrestri e sottomarini, e 300 sui bombardieri strategici.
È un deterrente sufficiente ad annullare i vantaggi di un attacco nemico e a congelare il rischio di una guerra. C’è però un dato negativo: la nuova cortina di ferro che si è frapposta fra Est e Ovest rischia di mandare al macero tutti gli accordi di disarmo. La corsa alle armi nucleari riprenderebbe spedita, anche se occorre una precisazione: la Russia non ha interesse a lanciarsi in quest’avventura rischiosissima. Non ha le potenzialità per aumentare esponenzialmente il suo arsenale. Le sue capacità di produzione sono di molto inferiori a quelle statunitensi, come la ricchezza nazionale, che non le consente voli pindarici. Come se non bastasse, l’economia russa sarà duramente colpita dalle sanzioni.
Credo ci sia c’è un freno tangibile all’ulteriore degenerazione dello scenario e quindi forse della terza guerra mondiale non ci dobbiamo preoccupare più di tanto.
In tutto questo alcune mega aziende ovviamente si stanno sfregando le mani a cominciare dalla nostra Leonardo, passando per la francese Dassault Aviation, la tedesca Rheinmetal, o la potentissima americana Lockheed Martin che produce gli aerei da combattimento F-35. Se abbiano influito o meno sugli sviluppi bellici degli ultimi giorni e in che modo eventualmente non è dato sapere. In ogni caso questa situazione costringerà i governi ad investire sugli armamenti con buona pace degli investimenti in altri settori che forse sarebbero altrettanto importanti per le nostre economie.
Ai cittadini occidentali la spesa bellica verrà venduta come la risposta al loro bisogno di sicurezza e tranquillità. E pazienza se dovessero mancare risorse per il miglioramento dei servizi, del resto la sicurezza è un bisogno primario e anche una ulteriore limitazione di libertà sarà accettata dai popoli occidentali. Questo è il vantaggio politico dei nostri governi, che nulla hanno fatto per scongiurare preventivamente Putin. La visione dei mezzi militari russi che invadono Kiev, le scene drammatiche delle mamme che scappano dalle battaglie con i loro figli, e tutto questo nel cuore dell’Europa non può che portare a quel senso di Paura Collettiva che potrà modificare le nostre vite così come è già successo con la Pandemia.
Alessandro Zijno