Quale percorso agonistico per mio figlio?
Quale percorso agonistico per mio figlio?
Parlano la Coach Laura Golarsa della Golarsa Tennis Academy, Paolo Spezzi della Rome Tennis Academy come anche il Coach dell’anno Vincenzo Santopadre, il suo allievo Matteo Berrettini, Alberto Micali della Golarsa Tennis Academy. Matteo Mosciatti, giornalista di Sportface.it modera l’incontro.
Il tema è rappresentato dalle difficoltà che possono incontrare un genitore o un ragazzo nel cominciare e proseguire un percorso agonistico.
Paolo Spezzi: l’importanza della scelta della struttura.
La premessa che abbiamo scelto nell’Accademia è parlare di un percorso. Il percorso prevede una strada necessariamente abbastanza lunga. La domanda che ci siamo posti è se il tennis sia o meno uno sport individuale. Ovviamente lo è per alcune caratteristiche, lo è molto meno se si considera la definizione di “sport di situazione”. In questo percorso che va dagli 8 anni ai 22 grosso modo, vanno inclusi come figure fondamentali i genitori che rivestono un ruolo decisivo. Noi alla Rome Tennis Academy pensiamo che il ruolo del “gruppo di lavoro” sia fondamentale e il capitale umano faccia la differenza. Osserviamo quello che sta succedendo nel mondo PRO, dove ormai gli staff prevedono varie figure professionali che in modo sinergico collaborano per un fine ultimo comune che è la prestazione del tennista. Questo modello è stato sposato dalla Rome Tennis Academy, e i genitori devono consacrarlo, perché loro sono i nostri sponsor e come tali devono essere inseriti direttamente nel progetto e ne fanno parte integrante. Per quanto riguarda la scelta dei tornei da giocare abbiamo sposato le linee guida che suggerisce anche la Federazione: 25% sopra livello, 25% sotto livello, 50% pari livello.”
Laura Golarsa: progetti a lungo termine.
“Parlo con l’esperienza della ex giocatrice. Ero una ragazzina che sognava di calpestare l’erba di Wimbledon e rifletto su tutte le difficoltà che ho incontrato nel mio percorso. Questo percorso poi mi vede da 20 anni come Maestra e che alleno giocatori che ho preso con me quando erano piccolini. Come Golarsa tennis Academy abbiamo portato 18 ragazzi a giocare a livello ATP, una decina di ragazze a giocare a livello WTA. E poi parlo da mamma perché mio figlio che ha 17 anni sta provando a percorrere la strada del tennis , gioca a livello agonistico ed è un seconda categoria. In questo incontro vorrei provare a raccontare quale è stata la mia strada, perché in fondo riavvolgendo il nastro della vita forse si farebbero delle scelte un po’ diverse, nonostante mi consideri una privilegiata in entrambi i ruoli, sia da giocatrice che da allenatrice. A me sarebbe servito un Maestro che riflettesse sulle sue esperienze e le mettesse al mio servizio. Quindi vorrei aiutare i ragazzini che si affacciano su questa strada a metterli in condizione di seguire un percorso il più corretto possibile. Gli errori si fanno comunque e sono anche formativi, ti aiutano a aggiustare il tiro. In termini concreti faccio un esempio: io da ragazzina ero molto ansiosa, anche se non lo dava a vedere e chiaramente ho vissuto un certo tipo di pressione. Si tratta di imparare a gestire la vittoria, la sconfitta e il paragone con chi ti sta di fianco: il discorso del confronto è molto importante e coinvolge spesso la famiglia del ragazzo che si chiede se il compagno con cui ha giocato è avanti, indietro, quanto si allena ecc ecc. Le famiglie dei giovani agonisti molto spesso si trovano nell’ambiente sportivo, che è nuovo per loro. Il regalo più bello che mi potevano fare quando ero una giovane agonista era la libertà di espressione in campo: sentirmi libera di sperimentare, arrivare sul campo da tennis in maniera incondizionata. Il tennis è uno dei pochi sport che non è uno sport di giudizio: puoi essere alto, basso, bello, brutto, ricco o povero ma quando entri nel campo devi buttare la palla di là una volta in più del tuo avversario, il resto non conta. Se tu vinci la partita non ci sarà nessuno che col suo giudizio potrà condizionarti o impedirti di arrivare dove vuoi arrivare. Questa libertà di espressione permetterà ai ragazzi un domani di colpire la palla deciso, con la consapevolezza giusta, senza soffrire la paura di sbagliare: tirare la prima di servizio al massimo, prendersi rischi, fare la giocata che rende tale un fuoriclasse. Quindi nel bagaglio di un ragazzino agonista cosa devo mettere? Devo metterci del fisico, devo metterci sicuramente della tecnica, ma devo metterci questa libertà che diventa un carburante mentale, psicologico. Quindi quando si accompagna un ragazzino al torneo bisogna preoccuparci di salvaguardare questa libertà, evitandogli quelle pressioni nocive del giudizio. Il giudizio del campo va mantenuto, perché si vince e si perde e il ragazzino lo deve comprendere, ma quella libertà di colpire la palla e non essere giudicato da una persona, quella va sostenuta. Spesso in ambito giovanile si entra in meccanismi negativi che dimenticano il benessere del ragazzo e il concetto di sviluppo a lungo termine. E’ da concentrarci sulla costruzione del fisico e contemporaneamente sulla prevenzione, sulle qualità tecniche e tattiche. Quindi per riassumere:
***Tranquillità nell’ambito familiare: Vinco/Perdo è marginale, la domanda giusta è: ”Ti sei divertito? Sei stato protagonista?”
Io da bambina facevo servizio e volee, ero piccolina, bassina, e ovviamente prendevo 6-0 6-0 a 12 anni e anche a 14 con quelle che alzavano i pallonetti. Ma non mi sono fermata. La mamma di Shapovalov racconta sempre che a suo figlio dicevano di restare indietro, questo gli avrebbe anche permesso di vincere qualche partita in più ma ne avrebbe minato la libertà. Il mio Maestro Aldo Melli fu uno che rinforzò emotivamente sempre il mio gioco in avanti, anche se non mi portava vittorie: ne parlava sempre con entusiasmo e per questo lo ringrazio perchè sottolineava positivamente questo modello di gioco, e mi gratificava.
****Ogni giocatore ha un serbatoio da riempire di motivazioni e voglia di giocare. Questo serbatoio va riempito gradatamente, ricordandoci che un atleta raggiunge il picco psicofisico dai 26 ai 30 anni e oggi anche oltre. Se questa voglia noi la bruciamo troppo presto, rischiamo di saturare il ragazzo che poi può subire un rigetto per il tennis. Quindi noi Maestri e genitori dobbiamo gestire la quantità di tennis da proporre ai ragazzi, rispettando i loro tempi, oltre a occuparci della qualità.”
Vincenzo Santopadre e il concetto di fiducia e i requisiti per procedere nel percorso. Contesto e valori del team.
“Mi ritrovo con le idee di Laura riguardo al gioco e alla passione che deve restare nei ragazzi. Noi dobbiamo rinforzare e nutrire questa passione intorno alla quale dobbiamo costruire un ambiente che sia proficuo per il loro sviluppo. I genitori conoscono i propri figli e noi Maestri dobbiamo riuscire a collaborare con loro provando a stimolarli nel ragionare in grande, nel senso di lungo termine; dobbiamo come Maestri e Coach guadagnarci sul campo quella fiducia che chiediamo creando attorno al ragazzo un contesto sano, con valori e principi condivisi e positivi. Per contesto mi riferisco ovviamente ai professionisti che animano la scuola, che devono essere motivati e propositivi, stimolanti oltre che ovviamente professionalmente preparati. Un altro concetto importante per me è quello di “Gruppo” per far sì che ci siano tutti ragazzi animati da una forte passione. Quello che io ho provato a fare con Matteo Berrettini è cercare di capire sempre le sue esigenze, anche prendendomi come suo Maestro delle responsabilità: ad esempio quando gli ho consigliato una scuola piuttosto che un’altra per poterci dedicare con più profitto allo sviluppo delle doti tennistiche. Quindi per un Coach è fondamentale trovare questo equilibrio tra comprendere le esigenze del ragazzo e influire nelle sue scelte senza forzature eccessive. Matteo fino al quarto liceo ha fatto la scuola normale. Questo è un tema molto caro a me e Laura. Dopo il quarto Liceo abbiamo scelto di trovare del tempo anche la mattina per allenarci. C’è un punto molto importante a mio parere per la sua crescita: Matteo Berrettini da giovanissimo, a 14 , 15 e 16 anni, non poteva sopportare de carichi di lavoro pesanti, come facevano i suoi coetanei. Sono stati intelligenti e lungimiranti lui e la sua famiglia a comprendere questo e non confrontarsi con gli altri ragazzi che potevano permettersi altri carichi e quindi anche altre prestazioni per uno sviluppo più precoce del loro fisico e per caratteristiche personali. E siamo stati bravi noi Maestri a capirlo e comunicarlo. In accordo col mental coach Stefano Massari abbiamo alimentato la sua curiosità per lo studio. Quindi per alcuni versi è necessario non far sentire ai ragazzi di essere “Giocatori Professionisti” troppo presto per non instillare in loro la pressione e togliendogli il lato giocoso e una certa dose di libertà espressiva come diceva Laura. E’ ovvio che i ragazzi, soprattutto quelli più competitivi, si divertano di più quando vincono, ma qui entra in ballo il Maestro che con la famiglia può educare il ragazzo ad un rapporto equilibrato con sconfitte e vittorie. Mi piace dire, inoltre, che il tennis giovanile è l’opposto del tennis professionistico perché negli Under se tiri la palla di là puoi vincere perché l’avversario sbaglia e perde lui la partita. Nel tennis Pro moderno se non sei propositivo non porti a casa molto. Ricordo un particolare di Matteo Berrettini: avevamo cominciato a lavorare sul servizio, cambiando dettagli piuttosto grandi. Qualche giorno dopo giocò la Serie A e lui continuò a provare quei movimenti su cui stavamo lavorando. Stava investendo su sè stesso, senza che io gli dicessi nulla, anche se era in performance e lui è un grande agonista.”
Alberto Micali: confrontarsi con realtà diverse e fare esperienza
“Sono andato a vedermi tutti i vincitori dei campionati italiani Under 16 degli ultimi 15 anni. La metà non sono mai entrati nei primi mille giocatori del mondo e solo un paio sono riusciti a conquistare la top 200 ATP. Questa è la dimostrazione che fare risultato subito a 16 anni non è fondamentale. Ma come hanno già detto Laura e Vincenzo lavorare con uno sguardo a lungo termine. Io ricordo Lorenzo Sonego che giocava come me e Matteo Mosciatti eppure eccolo lì. Sonego e Berrettini a 16 anni erano ancora 2.8 e non se ne preoccupavano né loro nè i loro Maestri (Vincenzo Santopadre e Gipo Arbino NDR), mentre capita di sentire genitori di ragazzini parlare di classifiche. Oggi credo che sia importante anche fare esperienze da Under 18 per avere un bagaglio più ampio non buttandosi subito a capofitto nel circuito dei “grandi”: un buon esempio è Tsitsipas che pur avendo già un grandissimo livello ha fatto gli Slam Juniores. Anche da Under12/14/16 fare gli ETA è importante per diverse ragioni, sempre legate all’esperienza diretta che fa maturare. Nella nostra Accademia, la Golarsa Tennis Academy, oltre all’allenamento supportiamo i nostri ragazzi nei tornei internazionali al fine di farli abituare a viaggiare, a confrontarsi con altre realtà sia culturali sia legate agli aspetti tecnico-tattici del tennis. Si conoscono altri giocatori, altri abiti mentali, altre situazioni altrimenti non riproducibili artificialmente.“
Matteo Berrettini:
“Due cose fondamentali: la prima è la passione, perché non mi è mai pesato più di tanto. La seconda è quando avevo 16 anni ho avuto la fortuna di allenarmi con Vincenzo Santopadre, che mi ricordava che dovevo guardare a lungo raggio, a 24, 25 anni e anche a diventare migliore di me stesso, non confrontarmi con gli altri. Ho sempre investito su me stesso, mettendo a frutto anche le sconfitte. Il mio Mental Coach mi ha aiutato molto fuori dal campo soprattutto a trovare una mia identità, raramente abbiamo parlato di cose di tennis ma soprattutto di ciò che mi piace fare al di fuori e delle mie passioni collaterali, della mia strada come uomo. Ciò che è stato importante per me è stata la famiglia che mi ha fatto sempre sentire la fiducia in me e anche nel mio progetto, senza mettere mai in dubbio chi mi segue. Il distacco tra Juniores e circuito Pro è stato netto.”
Alessandro Zijno