Alessandro Piccari, messaggio ai giovani: “Bisogna crederci sempre. Alla Piccari&Knapp Tennis Team per crescere con Samsonova, Chiesa e Bronzetti.”
Intervista ad Alessandro Piccari di Matteo Mosciatti per Sportface.it
Alessandro Piccari è un ex tennista e oggi coach nella sua Academy ad Anzio, che è stato numero 389 ATP in singolare e 521 ATP in doppio. Ha sposato l’ex tennista Carolina Pillot.
Come passi le tue giornate in quarantena?
“Sono a casa con la piccola Ludovica e mia moglie Carolina (Pillot NDR) e non c’è un attimo di pausa. Noi non sappiamo cosa sia la noia in questi giorni, con una bimba di 11 mesi ci dividiamo i compiti e c’è molto da fare. Insomma ritmi forsennati.”
Ti piacerebbe tua figlia tennista?
“Beh sì, mi piacerebbe perché potrei tenermela vicino così, visto che io sono un malato di tennis, ma al momento punterei di più su mia nipote Flavia. La figlia di Francesco e di Karin è un portento.”
Quando eri bambino come e perché hai iniziato a giocare a tennis.
“A mio fratello serviva un compagno e se non giocavo minacciava di picchiarmi. (e ride NDR). A parte gli scherzi sia mia madre che mio padre giocavano a tennis a livello amatoriale. Mio fratello era molto appassionato e poiché anche io me la cavavo bene ho continuato.”
Cosa ti è mancato per avere una carriera ancora superiore?
“Io ci credevo molto poco. In effetti giocavo bene, avevo un bel rovescio ma non avevo consapevolezza. E credo che questo sia fondamentale. Nel corso della mia esperienza ne tennis ho visto tantissimi ragazze e ragazze arrivare in alto anche quando molti pensavano che non fosse possibile. Ci sono delle credenze, delle qualità che attribuiamo a noi stessi, che possono limitarci: io ad esempio non mi sono sentito capace di fare grandi cose nemmeno quando ho vinto tornei o fatto buoni piazzamenti. Poi rileggendo la mia storia tennistica da giocatore, con gli occhi di oggi, posso dire che ci sono stati anni in cui ho lavorato bene ed altri in cui ho lasciato troppe cose al caso.”
Secondo te quale è l’età in cui le vittorie cominciano a contare qualcosa davvero
“Per essere pratici alla fine vincere è importante quando cominci a farlo a livello internazionale. Quando sei piccolino vincere può aiutarti ad accrescere la tua autostima, poi bisogna rimanere concentrati sul proprio percorso. Quello che voglio dire è che quando un bambino vince molto è importante che i tuoi allenatori ti facciano vedere sempre avanti. Se invece da bambino non vinci molto è importante far capire che ognuno ha i suoi tempi, perché l’importante è migliorarsi. Poi c’è magari il Sinner della situazione che comincia a vincere già prestissimo e ben venga.”
Come è e come è stato il rapporto con tuo fratello Francesco, con il quale collabori anche oggi nella Accademia.
“Abbiamo viaggiato tanto insieme, abbiamo fatto tante esperienze insieme, giocavamo i doppi in coppia. Lui mi ha aiutato da ragazzo, perché era quello con la testa sulle spalle mentre io ero più testa calda. Siamo stati sempre uniti e lo siamo tuttora.”
Quale è la trasferta, il viaggio che ricordi in maniera particolare?
“Non saprei, ricordo che lui andava spesso fino in fondo ai tornei, io finivo prima (e ride NDR). Però è bello ricordare quando vincevamo qualche doppio insieme, e anche quando in qualche partita in cui giocavamo contro mi lasciava vincere (e ride NDR). E’ sempre difficile giocare tra fratelli, perché veder perdere tuo fratello è sempre qualcosa che ti fa male, e se tu devi essere il carnefice ti rendi conto che è dura. Ad un certo punto avevamo deciso che quando ci incontravamo in torneo si vinceva una volta per uno. Oggi si può dire, sono passati 10 anni almeno. Ricordo che una volta giocavamo in quali di un 100mila a San Marino: io vinco il mio match e corro subito dopo a tifare mio fratello perché se vinceva ci incontravamo nel turno conclusivo e toccava a me vincere quella volta. E infatti il giorno dopo Francesco si ritirò nel match contro di me, quando era sotto 3-1.”
Come si gestisce una Accademia, la Piccari&Knapp Tennis team
“Noi abbiamo una Accademia da 11 anni e le difficoltà sono innumerevoli. Non ho visto molte altre Accademie avere un corso così lungo. Abbiamo avuto 2 anni piuttosto tosti anche dal punto di vista economico: gestire un gruppo di atleti che devono investire su se stessi, un gruppo non tanto grande, è complesso. Quando 2 o 3 ragazzi decidono di cambiare percorso, può diventare difficile riuscire a mantenere la qualità, tanti Maestri. C’è stato un periodo in cui abbiamo dovuto stringere la cinghia io e Francesco: abbiamo preferito mantenere uno standard qualitativo alto per gli allievi, non far loro mancare nulla e allo stesso tempo gratificare i collaboratori. I primi anni è stato più facile perché si può dire che il nostro testimonial era Karin, poi è stato più difficile. Questa economica è la prima difficoltà. La cosa bella è stato costruire un modello di lavoro: riuscire a trovare sinergie con gli altri collaboratori per un progetto comune, con linee guida simili per tutti a livello anche tecnico-tattico. Poi riuscire ad incanalare i giocatori che arrivavano all’interno di un percorso. Complicato ma molto divertente.”
Quanto è importante Karin Knapp per quello che rappresenta per le giovani?
“Lavora con noi, la mattina è a tempo pieno, il pomeriggio fa più la mamma, e ti dico una cosa: noi la usiamo anche per comunicare certi messaggi, sia come esempio diretto, sia perché quando parla lei le ragazze ascoltano eccome. Karin ha tantissima passione, viene in campo ogni giorno con energia enorme, prepara la programmazione dei tornei, è un bel punto di riferimento per tutti.”
Avete diverse ragazze che giocano a livello internazionale.
Liudmila Samsonova, 21 anni, 117 WTA.
“Lei può lavorare per obiettivi altissimi. Una ragazza così deve mettersi come obiettivo quello di arrivare tra le prime 10 del mondo. Siamo ancora lontani come livello, c’è da migliorare tantissimo e mi auguro che nell’arco di 3, 4 o 5 anni che lei si possa avvicinare a quel livello. Le possibilità ce le ha.”
Deborah Chiesa, 23 anni, 401 WTA (best ranking 143 WTA)
“Ciò che mi rende ottimista sul recupero del suo ranking è che Deborah si allena sempre con moltissima voglia. E’ una ragazza che cerca sempre di migliorarsi anche a livello caratteriale. Fino ad un certo punto tutto le veniva semplice, poi quando è salita molto ha avuto qualche difficoltà a gestire le emozioni. Può tranquillamente tornare a giocare gli Slam.”
Lucia Bronzetti.
“Anche Lucia lavora molto bene, nel corso degli anni ha fatto piccoli step: il primo anno era 600 del mondo, poi è andata 400 e quest’anno è arrivata a ridosso delle prime 300 del mondo. Non le manca nulla per poter giocare i grandi tornei.”
“Poi abbiamo altri ragazzi più piccoli e davvero fortissimi che hanno già vinto nelle loro categorie come Daniele Rapagnetta e Cecilia Maria Stella Ferrazzoli.”
Quali sono gli aspetti che curi in ragazzi tra gli 11 e i 16 anni come Daniele e Cecilia che abbiamo citato prima.
“Finchè parliamo di ragazzi così giovani, fino a 13 anni (poi dipende da quando e come sviluppano fisicamente) la cosa che va sistemata è certamente la tecnica. Poter lavorare con un ragazzo giovanissimo ci permette di poter sviluppare opportunità tecniche che poi gli verranno utili per trovare soluzioni da più grandi sul piano tattico. Quello è il primo step, altrimenti si creano ragazzi sui quali poi a 16 anni bisogna effettuare delle correzioni, che sono più complicate per vari motivi. Ci sono bambini che vincono partite o anche tornei che magari giocano corto, semplicemente perché dall’altra parte c’è un altro bambino che non può coprire il campo e non arriva bene sulla palla.”
In cosa è cambiato questo sport rispetto agli anni in cui giocavi?
“La prima cosa che noto è che questi bambini, magari under12, già parlano di professionismo, di “lavoro”. Io ero campione regionale under 12 e pensavo solo a divertirmi, a giocare. Questo vedere la meta, il punto finale dell’arrivo rischia, a volte, di rovinare il viaggio, il percorso, e quindi la meta stessa. Rispetto a quando ero giovane io, però, c’è molta più professionalità: noi viaggiavamo molto di più da soli, dovevamo gestirci in autonomia e questo ha portato qualcuno fuori strada, almeno quelli che non avevano focus sul tennis. Ora vedo molti più coach in giro.”
Quale è il tuo sogno di allenatore.
“Vincere uno slam e godermelo dalla tribuna. Sono disposto anche a farmi un tatuaggio per coronare il sogno.”
Alessandro Zijno