Luca Vanni, esempio di tenacia e perseveranza: “Io vado avanti, sono tornato a Foligno con Gorietti, l’allenatore che mi conosce meglio”
L’intervista di Luca Fiorino mette in luce la forza d’animo, la spontaneità e la capacità di non arrendersi mai del forte tennista toscano. Luca Vanni è attualmente numero 493 del mondo, ed ha un passato di top 100 nel 2015. In carriera ha vinto 5 tornei Challenger e ben 16 Futures.
Ti riconosci nella parola “resilienza”?
“Ascoltai questa parola la prima volta anni fa dal mio mental coach, in riferimento alle mille traversie sul piano sportivo che ho passato in tutti questi anni.”
Come stai passando questo periodo così particolare?
“E’ un momento per così dire duro, solo per la monotonia delle giornate, visto che sono in quarantena da ormai 16 giorni. Sono fortunato che ho un po’ di spazio fuori e posso un pochino distrarmi, e poi ho fatto dei lavoretti da manovale, ho imbiancato, fatto qualche lavoretto col trapano, bricolage, è qualcosa che mi piace. I tornei non riapriranno prima di giugno, per cui adeso non credo ci sia bisogno di fare allenamenti di chissà quale intensità. In effetti adesso che mancano ancora due mesi all’inizio teorico dei tornei, fare 8 settimane di preparazione sarebbe controproducente, soprattutto alla mia età.”
Matrimonio slittato?
“L’avevo programmato a giugno, poi per cose organizzative, al di là del coronavirus, abbiamo deciso di spostare la data a settembre.”
Tre aggettivi per descrivere Luca Vanni
“Onesto, Simpatico, Bonaccione. Il bischero da noi, è usato come una persona a volte ingenua ma sempre nel buono, non un furbo. Però bonaccione mi piace di più.”
Primo ricordo di te stesso sul campo da tennis
“Avevo 9 anni, a Sinalunga, i miei primi passi sul campo da tennis, e io ero felice, mi divertivo lì. Più che in altri sport. Avevo provato il nuoto ma era un po’ monotono, la pallavolo (ho una famiglia di pallavolisti) ma ero stato messo in un gruppo di femmine, e poi provai il calcio e stessa zuppa non mi divertivo. Invece il corso estivo di tennis mi divertiva tanto e il maestro che mi faceva le lezioni mi disse di tornare e mi misero subito nell’agonistica non perché fossi un campione ma perché vedevano che mi piaceva.”
Il soprannome Lucone
“Il soprannome Lucone nasce nell’ambiente tennistico da quando ho cominciato a giocare a livelli più alto. Ovviamente viene dal mio nome e dal discorso di altezza e cuore.”
Se ti dicessi Alexander Tsuchiya
“Beh, mi ricorda San Paolo e c’è un aneddoto carino. Ero andato a giocare l’Atp di Sao Paolo, dove giocavo le qualificazioni. E giocai contro questo ragazzo brasiliano, Tsuchiya, ma con origini giapponesi. Giocai nei campi secondari, bruttissimi e vinsi contro questo ragazzo nel primo turno di quali. Ero sceso in campo con una racchetta Wilson che avevo preso a inizio anno ma non mi ci trovavo benissimo e allora andai allo Shop Wilson che sponsorizzava il torneo e presi due racchette Blade nuove e le bilanciai come piacciono a me. Giocai l’ultima aprtita con Dutra Da Silva e poi andai molto avanti, comprai un’altra racchetta e mi portò fortuna perché quel torneo resta memorabile.”
Esiste ancora il veloce indoor che è una superficie che ti piace molto?
“Ormai esiste solo il lentissimo indoor. Le nuove superfici indoor sono più lente della terra di San Benedetto del Tronto quando c’è umidità. Io ho vinto anche sul “ghiaccio”, cioè superfici velocissime, ma non piace neanche a me giocare in condizioni velocissime ma queste sono troppo lente davvero. In realtà quelle di oggi sono superfici di legno con una resina sopra che rallenta il gioco, in base alla quantità di resina messa sopra. Il legno per altro dà una risposta alla pallina molto diversa dal cemento, perché il rimbalzo è più alto rispetto al cemento classico.”
Questa omologazione delle superfici sta facendo sparire gli specialisti?
“Forse sarebbe meglio omologare di più le palle in tornei consecutivi che rendere così simili le superfici, dico solo questo. Insomma sarebbe bello premiare la diversità. Sarebbe utile anche per far evolvere alcuni tennisti. Oggi è molto difficile fare dei vincenti sulle superfici indoor, e paradossalmente è più facile su sul rosso a Parigi quando la terra è secca. E uguale per quanto riguarda gli ace.”
Hai un amico del cuore nel tour?
“Andrea Arnaboldi”
La passione per l’automobilismo?
“Sono malato per l’automobilismo, fin da quando ero bambino, quando in autostrada vedevo ogni macchina e indovinavo ogni modello, cilindrata. Una passione vera.”
La storia della “Bravo”, la tua macchina storica?
“E’ stata la macchina che ha fatto un’epoca, ce l’ho da 12 anni e ancora marcia, e siamo arrivati a 360mila chilometri. Sta con me da sempre la mia “bravina”, la chiamo così, mi ha accompagnato dappertutto.”
Come sopravvive un tennista che fa solo ITF Futures?
“Con i campionati a squadre, e facendosi seguire solo part-time da un allenatore. Magari con un coach che ha già una base di guadagno all’interno del proprio circolo e ti permette di allenarti lì, e magari ti accompagna solo poche settimane in giro per i tornei. Questa è una soluzione. Se sei appetibile per i campionati a squadre è più facile ovviamente. Per una stagione per bene servono 50mila euro, per cui o hai uno sponsor o sennò ti devi arrangiare.”
Tu sei un frequentatore di tornei Challenger: come sono cambiati in questi anni e cme si potrebbero migliorare?
“Non vedo grossi cambiamenti a parte il tabellone principale da 32 a 48. Più o meno facendo un conto grossolano l’aumento dei montepremi ha portato nelle casse dei tennisti un 3mila euro l’anno o forse poco di più. E’ qualcosa ma non moltissimo, non fa tutta questa differenza, anche se ovviamente si può apprezzare lo sforzo. In realtà fare finale in un Challenger è praticamente l’equivalente di un guadagno economico della vittoria in un buon Open in Italia. A livello Slam hanno lavorato bene in ottica guadagni, perché hanno aumentato anche i prize money di chi esce ai primi turni anche di qualificazione, ma per i Challenger ci si aspetta molto di più, altrimenti è dura. Parlando di cifre ti dico che se sei più o meno numero 200 del mondo ed entri in tutte le quali Slam, pur uscendo subito hai una base di circa 30mila euro per poter programmare la stagione. Poi se entri nei main draw il discorso si fa proprio interessante. Ma se non entri nelle quali Slam, fai davvero fatica. Del resto costa anche tanto organizzarlo un Challenger, per cui mi rendo contro che gli Enti o i Circoli che l’organizzano devono far fronte a molte spese, però bisognerebbe trovare delle soluzioni.”
Perché non ti dedichi di più al doppio.
“Sicuramente io non mi reputo uno specialista. Però ho una buona risposta e un bel servizio, e un discreto tocco di rete: però il doppio fatto come si deve, è uno sport diverso. Ci sono molti tennisti che hanno navigato fuori dalla top 200 ATP in singolo, che poi si sono specializzati in doppio e sono arrivati tra i primi de mondo, facendone una nuova carriera appagante. Però bisogna fare un allenamento specifico in tal senso. L’ideale poi sarebbe trovare un partner fisso e allenarsi insieme, provare gli schemi. Una volta che io dovessi smettere di giocare il singolo, potrei pensarci ma al momento non so.”
Hai idea di fare il coach una volta che dovessi smettere?
“Io mi sento ancora giocatore, sono tornato a Foligno con Fabio Gorietti, e mi va di vivere ancora le esperienze di competizione in prima persona.”
Cosa ne pensi dei next gen italiani, a parte Sinner che è già una realtà.
“Ogni anno vedi qualcuno, anche delle altre nazioni, che esce fuori come un razzo. Nello sport non è come nello studio, per cui se ti dai da fare il risultato è certo. Ci sono mille variabili. Per cui non me la sento di sbilanciarmi su un Musetti, o su un Zeppieri, perché è vero che a tennis giocano benissimo, ma capire dove e quando possano arrivare è molto difficile. Le variabili sono tantissime.”
Il giocatore più simpatico e quello più antipatico incontrati.
“Più simpatico che dirti, è molto soggettivo. Magari trovi confidenza con una persona, ci esci a mangiare qualcosa e scatta una simpatia, un feeling. Non mi viene un nome in particolare. Sull’antipatico ce ne sono in campo: ad esempio Gulbis come giocatore non è simpatico, sta sempre sulle sue, a pelle non mi piace, si lamenta sempre. Una volta glielo dissi in campo: stai 6-2 per te, e divertiti non starti a lamentare ad ogni situazione. Era il Challenger di Caltanissetta. Però non lo conosco in privato. In genere i russi o i ragazzi dell’est hanno un atteggiamento un po’ più chiuso, tutto qui.”
In quale tennista del passato ti rivedi.
“Mmmm, i miei idoli sono stati Sampras e Safin però se devo essere sincero non mi rivedo in nessuno.”
Considerata la tua forza nel servizio, oltre le doti naturali come l’altezza, quali sono stati i segreti per sviluppare un fondamentale così efficace?
“Viene molto dai piedi la spinta per poter salire più in alto e poter schiacciare questa palla. Come vedi oggi anche i giocatori più bassi servono a 200 km/H e quindi oggi quello che fa la differenza sono gli angoli che un servitore riesce a trovare. Per spiegare meglio è preferibile servire a 200 km/H a 5 cm dalla riga, piuttosto che a 225 km/H ma a 30 cm dalla riga. Poi c’è il discorso di saper nascondere il tipo di servizio per non dare indicazioni all’avversario. L’idea sarebbe riuscire ad avere lo stesso tipo di lancio per tutti i servizi, poi con la spinta dei piedi magari gestire il servizio al centro, al corpo o ad uscire, in modo che l’avversario fino alla fine non riesca a leggere il tuo servizio. In questo il numero uno è Roger Federer, infatti se vedi le statistiche Federer è sempre tra i primi per quel che concerne il servizio nonostante sia 185 centimetri, quindi non un gigante e non tira a 240 all’ora.”
Location migliore e location peggiore dove hai giocato.
“Le migliori sono quelle che tutti conosciamo: non puoi fare una classifica tra Wimbledon, Roland Garros, Roma, parliamo di livelli altissimi. Però per qualità di vita, per come è strutturato il torneo, e per altri dettagli agli Australian Open darei la palma del torneo più bello del mondo. Certo poi la storia, il fascino del Foro Italico, portano a dire anche Roma. Per il peggior posto, non so, Marocco, Tunisia, Turchia, per carità non è che è meglio non andare, però sono magari tornei più improvvisati.”
C’è un episodio bislacco o curioso che ti è capitato sul campo?
“Un anno ad Andria, torneo indoor, la partita è stata sospesa perché pioveva dentro al palazzetto. (Io c’ero, era il 2016 NDR).”
Il maggior rimpianto in carriera. La finale con Cuevas a Rio?
“Certo non ci penso tutti i giorni, però quella partita rimarrà nella mia testa. Aggiungo però che le partite per arrivare in finale sono state lottate. Però certo 5-4 15-0 e servizio, se facevo 3 aces vincevo il match.”
Un parere sul Milan di oggi
“Calcio non mi espongo perché sono un tifoso dello sport in primis, ok sono milanista ma non così sfegatato. Ci sono degli interessi economici così forti, che alla fine un po’ la passione ne risente.”
Come va il ginocchio destro:
“Non mi dà noia in allenamento, vivo con un po’ di dolore sempre. Dopo il torneo di Bergamo poi ho avuto anche qualche dolorino al ginocchio sinistro e volevo trovare il modo di farmi costruire un plantare che potesse aiutarmi. Poi questo coronavirus ha bloccato un po’ tutto.”
Come stai cercando di mantenerti in forma in questa settimane di clausura.
“In queste 2 settimane mi sono un po’ disintossicato dal tennis, e come detto prima senza sapere come programmare diventa difficile.”
Il tuo rientro a Foligno a quando risale?
“Il primo torneo che ho rifatto con Fabio Gorietti è stato Bergamo, stimo tantissimo Gorietti stesso sia come persona che come allenatore. Lui mi conosce meglio di tutti, e per me stare a Foligno è come se fossi a casa. Dentro la mia testa c’è la sensazione che solo lì riesco a dedicare tutte le energie al tennis, ma sono state solo 5 settimane perché poi si è fermato tutto.”
Alessandro Zijno