PAT REMONDEGUI, ENERGIA, DISCIPLINA, INTENSITA’, MOTIVAZIONE, DETERMINAZIONE e COMUNICAZIONE
Intervista al coach italo argentino, che personalmente stimo tantissimo. Grandi capacità empatiche, motivazioni profonde, amore per il suo lavoro e tanti successi ottenuti senza mai perdere la voglia di migliorarsi. Nei corsi GPTCA che ho frequentato, mi son abbeverato alla sua fonte e di questo gli sono grato. Ecco le sue parole.
“In Argentina ho lavorato per parecchi anni al Club dell’Estudiantes De La Plata e in questo circolo facevo parte dello staff dei Maestri. La scuola era enorme, ben 300 ragazzi che giocavano a tennis. Quando in Argentina la situazione è degenerata economicamente ho cominciato a guardarmi attorno. Dal punto di vista tennistico avevo voglia di migliorarmi e sentivo che restando in Argentina non avrei avuto quelle possibilità che cercavo. Avevo bisogno di allargare competenze e orizzonti. Grazie ad un mio amico e alla cittadinanza italiana (un nonno era italiano), sono arrivato qui e sono partito completamente da zero. A Sant’Arcangelo di Romagna, dove abito, ho cominciato dai “quarta categoria”, restando quattro anni nello stesso circolo, fino a riuscire a costruire un buon vivaio con buoni risultati e il primo terza categoria nella storia del circolo stesso. Poi sono andato a Viserba ed il livello è salito da terze a seconde categorie, con grossa soddisfazione. Dopo 9 anni è arrivato il primo tennista professionista: Igor Gaudi, un ragazzo di Rimini, con il quale ho lavorato per 3 anni. Con lui siamo partiti intorno alla posizione 500 del mondo per arrivare al best ranking al numero 169 ATP. E’ stato un percorso meraviglioso, una storia bellissima. Da lì è partito tutto: mi ha contattato Adriana Serra Zanetti, poi la sorella Antonella, poi Galvani, Galimberti e così via. Tutto però è cominciato con Gaudi, si è anche qualificato per Wimbledon battendo Santopadre nell’ultimo match, e lo ringrazierò sempre perché mi ha dato la possibilità di lavorare con Professionisti.”
Hai fatto esperienze in tutto il mondo vero?
“Ho fatto il corso di Bollettieri a Madrid con Gabe Jaramillo: in quel periodo lui era il secondo di Bollettieri ed è stata una fortuna perché l’ho fatto proprio poco prima di cominciare a lavorare con Gaudi. Quel corso, quella esperienza, mi hanno dato le basi per poter lavorare come si deve. Poi andai a Bradenton a vedere come lavoravano in Accademia e anche quella è stata una formazione importante. Ho girato tantissimo per imparare, ho fatto i corsi PTR, quelli della Federazione, tutto ciò che era utile per apprendere cercavo di farlo.”
Cosa ti impressionò dell’Accademia di Bollettieri?
“Ho capito cosa accomuna tutti i grandissimi Coach: la filosofia che si basa su punti comuni come ENERGIA, DISCIPLINA, INTENSITA’, MOTIVAZIONE, DETERMINAZIONE e COMUNICAZIONE. Nell’Accademia di Bollettieri si respirava grandissima energia e lì erano molto avanti in tutti gli aspetti. Pensa che c’era già una persona incaricata di studiare esclusivamente la biomeccanica del gesto tecnico.”
Soffermiamoci un attimo sul concetto di comunicazione.
“Comunicare è davvero determinante e farlo bene può fare la differenza. Tuttavia bisogna accettare anche gli errori in tal senso, e tuttora io stesso ne faccio. Con ogni ragazzo, allievo, collega, bisogna comunicare nel modo giusto, positivo per un corretto scambio di idee ed emozioni e trovare il linguaggio adeguato e il canale di comunicazione più adatto. Ad esempio Adriana e Antonella, pur essendo sorelle, avevano due diversissimi caratteri e dovevano essere approcciate diversamente. Adriana era esplosiva, amava gli scambi brevi, voleva comandare il gioco; al contrario Antonella era molto resistente e più solida anche fisicamente rispetto alla sorella. Adriana purtroppo si faceva male spesso, mentre Antonella molto meno e più si allungavano gli scambi meglio era per lei. Questa diversità di caratteristiche si ritrovava anche nel carattere delle due ragazze: Adriana era molto esigente con se stessa, quindi nel modo di comunicare dovevo essere sempre molto positivo; Antonella andava spronata e messa in difficoltà per motivarla: con lei bisognava essere un pochino più duro. Adriana ebbe agli US Open un ancoraggio negativo legato a quel torneo: la prima volta che andò ebbe vari problemi (non l’allenavo io, quindi non so che tipo di difficoltà precisamente). E così ogni volta che andava le ritornavano inconsciamente quelle emozioni negative e non è mai riuscita ad esprimersi al meglio. Oggi con l’esperienza accumulata in tanti anni, saprei aiutarla in modo migliore, trovando il sistema di sostituire quell’ancoraggio negativo con uno che porti positività. Attraverso la PNL si può lavorare in tal senso.”
Cambi strategia di allenamento in base al canale preferito dal tennista che alleni (cinestesico, Uditivo, Visivo)?
“Una delle prime cose che faccio, quando ho un nuovo allievo, è un test che ho appreso da Umberto Longoni, uno psicologo italiano che ha anche lavorato con Piatti e Furlan. Questo per capire quale è il canale predominante del tennista che alleno. L’uditivo è quello che ha bisogno che tu gli spieghi tantissimo, il visivo invece ha bisogno di vedere magari dei video di se stesso o di altri per comprendere meglio. Grymalska e Fatic hanno il visivo come canale predominante. Con giocatori così si usano parecchi allenamenti con riferimenti visivi, o registrazioni per fargli rivedere i loro movimenti. Antonella Serra Zanetti e Stefano Galvani erano cinestesici, e con loro la comunicazione è basata sule sensazioni: ti parlano di quello, delle loro sensazioni, del sentire. Un coach si adegua ai canali predominanti. Alberto Castellani è un grande conoscitore di queste dinamiche, e infatti lui mi ha spesso consigliato e guidato nello sviluppo di esercitazioni adatte ai vari canali. Faccio provare degli esercizi, e chiedo ai ragazzi quali si adattano meglio a loro. Capitava che Stefano Galvani il giorno prima del match facesse un allenamento in cui sentiva la palla e anche se non ne metteva nemmeno una in campo durante il training, il giorno dopo giocava benissimo. Oppure anche il contrario: metteva tutto dentro ma se non sentiva la palla poi non giocava bene.”
Ci sono differenze tra tennisti di oggi e di qualche anno fa? E differenze di allenamento?
“Gli allenamenti sono migliorati tantissimo, ora ci sono tante possibilità in più di creare allenamenti mirati e specifici. Quello che non è cambiato è che alla fine arrivano quelli che hanno valori e qualità come succedeva anche prima. Noi allenatori abbiamo dovuto cambiare qualcosa perché i ragazzi sono differenti rispetto ad una volta. Mediamente i ragazzi sono meno motivati. I ragazzi romeni o bosniaci con cui lavoro hanno un po’ più motivazioni, rispetto agli italiani, sono determinati, forse a causa di una educazione differente. Noi genitori italiani tendiamo a dare molto ai nostri ragazzi, che finiscono per adagiarsi. Non è sempre così ovviamente. I ragazzi oggi da noi sono cresciuti un po’ più deboli, hanno meno capacità di soffrire, di rimandare la gratificazione, faticano ad organizzarsi in autonomia. Noi allenatori ci siamo dovuti adeguare a questo e dobbiamo trovare soluzioni in tal senso: spesso i ragazzi vogliono imitare i fenomeni visti in tv, tirare pallate senza avere la pazienza di seguire gli step di crescita. Vorrebbero tirare vincenti da ogni parte del campo, non amano costruire il punto, difendersi e quindi questo può essere una difficoltà in più per il Maestro. Alla fine per arrivare ci vuole una grande passione, disciplina, focus mentale sul tennis, esattamente come era qualche anno fa. Poi sono cambiati i materiali, quindi anche il tennis si è evoluto. In realtà oggi il tennis moderno offre possibilità a chi gioca in modo non uniforme: prendi il caso di Barty nel femminile. L’australiana gioca il back, sa cambiare ritmo, sa cambiare altezze, palle corte, slice, a rete è sicura con la volee ed è per questo che ha più possibilità di vincere le partite. Perché è una mosca bianca, con tutte le altre o quasi che giocano allo stesso modo.”
Il tennis oggi è più veloce?
“Non sono sicuro che si sia velocizzato. Ciò che sicuramente è cambiato è il ritmo. Una volta Alberto a Castellani mi ha chiesto di parlare del ritmo in un intervento dei corsi GPTCA. Lui aveva avuto l’idea geniale di misurare i colpi in un minuto. Noi ci allenavamo contandoli. Guardando i video vecchi qualche anno Vilas, Borg giocavano a 43 bpm (battiti) al minuto. Agassi giocava al 46, anticipando tutto. Oggi giocano a 47/48 BPM. Anche le femmine giocano più o meno allo stesso ritmo, ma con scambi più brevi. Gli uomini fanno scambi più lunghi e corrono di più. Non è che Djokovic colpisca di diritto e mandi la palla più veloce di Lendl, ma che colpendo la palla in anticipo e mentre sale gli scambi sono più veloci e si gioca maggiormente vicini alla linea di fondocampo.”
Usi la musica per allenare il ritmo?
“A Sarajevo facemmo un esperimento con Alberto Castellani. I ragazzi giocavano a 43 BPM in palleggio e mettendo una musica adatta hanno aumentato il ritmo a 45 BPM. Si dice che la musica sia doping proprio per questo: aumenta le motivazioni e può incidere tantissimo aiutando il ritmo che è una delle capacità coordinative. Tornando al discorso di prima i ragazzi di oggi vogliono giocare ad un ritmo troppo alto per loro. Allora io uso un trucchetto: chiedo loro di farmi 50 palleggi senza sbagliare e loro adattano il ritmo per non fare errori. Così mi rendo conto di quale sia la loro velocità di crociera. A quel punto chiedo di fare magari meno palleggi ma in un tempo relativamente minore e li costringo così a provare ad aumentare il ritmo. All’inizio quasi tutti provano ad aumentare la velocità di palla, ma gli si alzano gli errori. E poi finalmente capiscono che possono aumentare il ritmo prendendo in anticipo la palla. La consapevolezza di quale sia il proprio ritmo è fondamentale. Con Nerman Fatic abbiamo lavorato tantissimo su questo: lui giocava spesso sopraritmo, provava a 48/49 mentre ora è molto più sicuro a 46/47. Succedeva quindi, prima dei nostri allenamenti e della sua consapevolezza che siccome non è stupido in partita scendeva a 42 BPM per limitare gli errori. Non si rendeva conto di come avere una via di mezzo tra 42 o 49. Oggi invece ce l’ha e il suo ritmo lo gestisce molto bene. Questa è una crescita. Poi c’è da considerare il discorso delle due diagonali: alcuni giocatori hanno un ritmo nella diagonale di diritto e un altro in quella di rovescio. I più forti quasi tutti sanno tenere lo stesso ritmo nelle due diagonali. La cosa importantissima però è la consapevolezza del proprio ritmo in una diagonale e nell’altra e poterlo regolare all’occorrenza. Questo si ottiene con il tempo e molto allenamento. Antonella e Adriana Serra Zanetti in allenamento fecero il record con 49 scambi in un minuto senza sbagli. Galvani e Galimberti poi lo pareggiarono ma facendo un errore.”
Secondo te è giusto provare subito l’alto livello o meglio continuare a gareggiare nel proprio per un professionista?
“Quando è venuta Adriana Serra Zanetti da me mi telefonò perchè voleva provare. Ci aveva messo in contatto un caro amico, e lei era scesa parecchio da 80 WTA a 260, era un po’ in difficoltà e stava facendo molta fatica ad avere risultati. Parlandoci mi dice che i migliori risultati li aveva fatti sulla terra rossa, ma andandomi a studiare i suoi risultati scopro che alla fine sui campi lenti non era così performante. Aveva il 37% di vittorie sul rosso e quasi il 50% sul veloce indoor! E’ vero che i migliori risultati li aveva avuti sulla terra ma in realtà era perché lei giocava molto più spesso proprio su quella superficie! A quel punto abbiamo fatto la preparazione e ci siamo divertiti a giocare anche sul veloce indoor, tornando presto al numero 80 WTA. Con Antonella Serra Zanetti fu un po’ differente: il primo anno che ci siamo allenati vinse ben 5 tornei da 25mila dollari. Però quando saliva di livello faceva una fatica del diavolo: a Roma in quali perse 6-1 6-1 dalla Gagliardi senza avere chance. Tendeva a limitarsi di essere consistente e se questo era sufficiente nei 25mila dollari, certo non bastava a livello superiore. La fortuna per Anto è stata avere avuto la sorella Adriana che era salita e giocava a livello WTA: così poteva venire a respirare l’atmosfera del circuito maggiore, confrontarsi con le più forti capendo cosa le serviva per crescere. Ci ha messo un po’ ma anche lei alla fine è riuscita ad entrare nelle Top 100. Piano piano riuscì a prendere quel livello. Quindi la risposta è che se c’è la possibilità è meglio giocare al livello più alto. Una differenza notevole tra le due sorelle era questa: Adriana era una professionista e aveva una passione per il tennis incredibile. Amava stare al circolo, aveva bisogno di giocare molto per sentirsi sicura. Al contrario Antonella soffriva stare tanto tempo ad allenarsi, forse anche perché lei faticava molto a vincere i punti, non avendo un servizio fenomenale e nemmeno un tipo di gioco che le permetteva di fare tanti vincenti. Mentalmente si stancava a stare al circolo. Oggi invece ha cementato una grandissima passione per il lavoro tennistico, tanto che in Federazione è stimatissima. Ad Anto chiedevo magari tanta intensità ed un allenamento fatto bene la mattina, e se possibile le concedevo qualche pomeriggio libero. Adriana si faceva male più spesso, forse anche per il suo essere molto emotiva.”
Il numero 500 del mondo arriva da te e ti chiede di seguirlo. Da dove parti?
“Cerco di vedere fisicamente quali sono le caratteristiche. Qualcuno dice che per costruire un giocatore bisogna partire dalle capacità o caratteristiche mentali. Secondo me a volte è molto più importante il fisico, oltre ovviamente quelle tecniche. Capita che ragazzini di 12 anni già ti dicano come amano giocare e tu Coach devi capire se quel modo di giocare va bene per il loro fisico. E’ un vestito su misura quello che si fa su un giocatore (gli americani parlano di “taylor-made” NDR), dove io cerco di esaltare le qualità che possiede, limitando i punti deboli. Parto dal fisico, ma poi ovviamente tengo presente tutto il resto. Non prendo mai giocatori a scatola chiusa però. Sono molto esigente perché amo questo lavoro, odio perdere e quindi io lavoro sempre per dare il meglio delle mie possibilità. Lo stesso chiedo ai miei giocatori. Quindi quando viene un giocatore dico sempre “proviamo, vediamo se ti trovi bene tu e se mi trovo bene io”. Non ho mai firmato nessun contratto con nessun giocatore. Alla fine finora ho avuto tutti rapporti lunghi con i miei giocatori, mantenendo poi ottime relazioni personali anche dopo la fine del rapporto professionale. Credo che il segreto sia di non dipendere economicamente dal giocatore: perlomeno io ho sempre adottato questa strategia, ho mantenuto un piede sempre almeno da un’altra parte. In questo modo se dovevo dire la parola stop con un ragazzo, beh potevo farlo e non dover continuare una relazione professionale poco soddisfacente. Questo mi ha permesso di essere sempre corretto e non trascinare situazioni poco produttive. Con Galvani abbiamo raggiunto il best ranking e ho deciso di non proseguire insieme perché secondo me non c’erano più i presupposti: poi ci siamo ritrovati in amicizia e siamo tuttora amicissimi. Per essere leali davvero con gli altri, prima bisogna essere leali con se stessi, ed io voglio esserlo. Un mio caro amico mi ha insegnato una bella frase: “contento io contenti tutti”. E questa è una grande verità, perché se io sono felice, posso aiutare anche chi sta intorno a me ad essero.”
C’è qualche libro che consigli?
“Sicuramente il libro di Longoni “Questione di testa”. Poi “Tennis Talent Scout: viaggio alla scoperta del talento” di Luca Appino: come scoprire un talento, perché alla fine il talento non è avere capacità coordinative incredibili ma forse altre capacità. Un altro libro bellissimo è “todo se puede entrenar” di Toni Nadal, che spiega come ha formato Rafa. Poi “Tennis Training” di Alberto Castellani che è sempre attuale nonostante i tanti anni passati dalla pubblicazione. Aggiungo una cosa, oltre i libri. Come consiglio ai giovani coach posso dire di andare tranquillamente a trovare i migliori chiedendo qualche parere. Non bisogna avere paura di disturbare, i grandi allenatori se possono ti danno una mano. Quando mi è servito io sono andato tranquillamente da Castellani a chiedergli come risolvere alcuni problemi. Quando ho cominciato ad allenare Stefano Galvani, ad esempio, ho telefonato a Giampaolo Coppo, perché Stefano era una sua creatura. E Coppo mi ha dato parecchi suggerimenti su come approcciare Stefano. In realtà cercai di seguire la strada che aveva creato Coppo, migliorando qualcosina come il servizio e il gioco a rete. Sempre senza snaturarlo.”
Se dovessi dare un consiglio ad un amatore qualche sarebbe?
“Un unico consiglio, trovate un Maestro che abbia passione e che il progetto vostro sia anche il suo. I giocatori capiscono quando tu sei nella stessa barca con loro e lo apprezzano.”
Rapporto genitore-allenatore-giocatore.
“Io non do moltissimo spazio ai genitori. Spiego loro che vorrei dedicare il massimo tempo e le massime energie ai ragazzi, che poi sono i loro figli. Igor Gaudi aveva suo papà Nevio, che a volte era molto critico. Allora io ho impostato il rapporto triangolare dando una regola: io allenatore faccio le valutazioni, il genitore fa il supporto. Per avere questo equilibrio chiesi a papà Nevio di dire tutte le cose buone che vedeva a Igor, e tutte le cose negative a me. In altre occasioni, con altri ragazzi, io alla fine ho dovuto fare il ruolo del genitore andando a rinforzare il tennista perché magari la mamma o il papà ci andavano giù pesante con i giudizi. In ogni partita c’è sempre qualcosa di buono e il genitore può farlo notare al ragazzo, così’ come in ogni partita c’è qualcosa che non va bene e la parte negativa va detta al coach. Con questo metodo non ebbi mai problemi con il papà di Igor Gaudi ad esempio.”
Quando smetteranno Federer, Nadal e Djokovic i bambini si avvicineranno ancora al nostro sport?
“Adesso abbiamo i 3 tennisti più forti, probabilmente, della storia di questo sport. E dotati di un carisma incredibile. Sono anche grandi esempi di sportività, di lealtà, di correttezza, valori bellissimi. Dobbiamo augurarci che coloro che verranno dopo seguiranno questi modelli. Anche noi allenatori dobbiamo essere degli esempi, dei modelli: il mio amico Pino, che lavora nell’Accademia di Sanchez-Casal, una volta aveva accompagnato alcuni ragazzi ad un torneo. Ragazzi benestanti che probabilmente non stavano facendo i veri professionisti. E lui li riprendeva molto duramente, facendoli allenare al massimo. Io gli chiesi se non gli importava di rischiare che questi ragazzi lo abbandonassero visto i toni duri. E lui mi illuminò con questa risposta:” Vorrei che quando mi incontreranno per strada tra qualche anno avranno il piacere di salutarmi, avendo capito il bene che gli facevo.”
Quali esercizi usi per capire i canali sensoriali preferiti da ciascun giocatore.
“Ci sono dei test per capirlo, attraverso domande fatte ai ragazzi. Ma oltre ai test non è difficile capirlo se ascolti i ragazzi nella quotidianità. Quando un giocatore ti chiede di riprenderlo per rivedersi è visivo, se vuole capire è uditivo, se parla di sensazioni è cinestesico.”
Che differenze ci sono tra uomini e donne dal punto di vista del coach?
“Le ragazze giocano in modo generalmente molto meccanico, lavorano col ritmo, palle più piatte perché hanno meno forza, amano le racchette più rigide per far andare di più la palla, a volte vanno più in fatica fisicamente e di conseguenza si muovono meno bene dei maschi, hanno bisogno di scambi più brevi. Ma questo solo in generale, così come si può anche banalizzando dicendo che i maschi giocano molto sul servizio e diritto, mentre le ragazze hanno spesso colpi migliori su risposta e rovescio. Quindi maschi e femmine non possono allenarsi allo stesso modo. Comunque io non alleno mai due giocatori nella stessa maniera, perché ognuno è differente e ha bisogno di cose specifiche. Le esercitazioni possono anche essere le stesse ma gli obiettivi cambiano. Ad esempio quando allenavo Galvani e Galimberti, il primo stava con i piedi quasi in campo, l’altro doveva giocare venti palle lunghe e profonde nella stessa esercitazione. Non esiste un metodo uguale per tutti. Anche Antonella e Adriana Serra Zanetti erano completamente diverse, la prima allungava lo scambio mentre la seconda aveva bisogno di accorciarlo. Uno degli errori che ho fatto fu quello di farle giocare assieme: è difficile allenare insieme due ragazze.”
Nel corso degli anni hai cambiato la metodologia di allenamento?
“Ogni allenatore sviluppa nel tempo una propria metodologia. Se vedete allenare me ed Alberto Castellani siamo diversi. Io ho seguito ciò che mi ha dato risultati. La filosofia di un allenatore proviene dal suo vissuto, dalle sue esperienze, dal proprio Paese. Se vuoi stare ad alto livello devi aggiornarti continuamente: il momento che pensi di saperne abbastanza, è il momento che rischi di incastrarti. Io sono assetato di imparare. Cerco di imparare dagli errori. E aggiungo che tutti i grandi allenatori che ho conosciuto continuano a studiare. L’umiltà è la prima cosa. Se voglio continuare ad allenare giocatori di alto livello devo essere in grado di aggiornarmi e tenere il passo. Nel corso degli anni puoi cambiare delle cose, ma alcune basi restano le stesse: noi come allenatori siamo l’esempio per i nostri giocatori, essere i primi ad arrivare, gli ultimi ad andare via, arrivare al campo con le idee chiare, avere passione, avere voglia di lavorare. Quando non ci si sente più nel progetto è bene farsi da parte: con Antonella Serra Zanetti ho lavorato 7 anni, ma quando mi sono reso conto di non riuscire più ad aiutarla, ad incidere positivamente, gli ho proposto di staccarci. Questa onestà, altro concetto base che non è cambiato nel tempo, il giocatore la riconosce.”
Hai un approccio più legato alla tecnica rispetto ad Alberto?
“Sicuramente sì. Infatti mi avvalgo della collaborazione di Danilo Pizzorno, il miglior professionista della videoanalisi in Italia. Viene 3 volte da me, e quando ho qualche dubbio con qualche mio giocatore Danilo è il primo che vado a consultare. Più la tecnica è pulita meno problemi ho. E’ vero tuttavia che non è la tecnica che mi farà vincere ma è la parte mentale. La tecnica deve essere al servizio del gioco di un tennista che è fatto di molte altre cose. Poiché per un tennista il proprio sport è anche il proprio lavoro, avere una tecnica pulita, semplice, permette di sprecare meno energie e probabilmente di preservarsi da infortuni, infiammazioni e quindi di prolungare la carriera. Pizzorno viene di solito prima di iniziare la preparazione invernale, poi a Gennaio facciamo un secondo incontro per vedere se abbiamo dato seguito positivo alle sue indicazioni iniziali, per finire a Marzo con un ultimo riscontro. Ci sono varie scuole di pensiero: in Italia forse la tecnica è la cosa più importante, tanto è vero che quando giri i tornei riconosci da lontano i ragazzi italiani perché giocano molto bene. Magari per gli spagnoli, intesi come scuola di pensiero, la cosa più importante è l’atteggiamento e poi danno molta importanza alle soluzioni. Per loro la tecnica viene vista come uno strumento per risolvere quella determinata situazione. Alcuni ragazzi di adesso fanno fatica a comprendere che le palle da giocare non sono tutte uguali, mentre vorrebbero colpire sempre allo stesso modo. Invece andrebbe colpita la palla nella maniera di avere la minor probabilità di errore, pur mantenendo un dettame tattico. Questo è un gioco di situazione in cui alla fine vince chi sbaglia meno. Un concetto che mi piace tantissimo è la semplicità. Forse perché vengo dall’Argentina, dove a causa di situazioni socioeconomiche non ideali, alla fine bisogna badare al sodo. Più semplice giochiamo, più è difficile che possiamo commettere errori.”
Le 4 strade per arrivare alla Top 100.
“Quello che dico sempre ai miei ragazzi è che esistono 4 strade per arrivare al Top nel tennis. La prima è avere un talento fuori dal normale, penso a Federer, McEnroe, Santoro. La seconda è che hai un colpo risolutivo naturale: un colpo che ti dà una marea di vincenti, come per dire Karlovic che fa del servizio la sua arma per competere alla pari dei grandi campioni. La terza strada è avere un fisico fuori dal normale, uno strapotere in tal senso. Penso alla elasticità di Nole, alla forza di Rafa, alle doti di Monfils. Se non abbiamo nessuna di queste caratteristiche per seguire le prime 3 strade, beh, ci rimane solo di possedere una DETERMINAZIONE superiore a tutti gli altri.”
Anastasia Grymalska.
“Con la Gryma ci siamo trovati tardi. E’ una ragazza meravigliosa, e con lei è stata una esperienza stupenda. Abbiamo lavorato assieme più di un anno ed è stato veramente bello e le voglio un mare di bene. Resto molto legato ai miei giocatori, in fondo si passa molto tempo assieme, più che con la mia famiglia. Si arriva a stare 35 settimane l’anno insieme per tornei, se prima non stai bene a livello umano, se non si crea una sintonia, è difficile costruire un rapporto duraturo.”
Esperienze di corsi di aggiornamento.
“Sicuramente il corso di Bollettieri mi ha cambiato, ai tempi: ancora oggi uso le basi che ho appreso in America. Lì nulla era causale, tutto era programmato. Ancora oggi io utilizzo certi modelli comportamentali con i miei atleti. Voglio che alla fine del match i miei ragazzi facciano una analisi della partita sotto vari punti di vista e che facciano una scheda del loro avversario. Con Adriana e Antonella arrivammo a schedare 260 giocatrici: non c’era nessuna di cui non avessimo una conoscenza scritta. Quando nel circuito arrivava una tennista nuova io me l’andavo a vedere affinchè non ci cogliesse di sorpresa eventualmente la dovessimo affrontare. Anche giocare i giorni precedenti ad un torneo con le palline giuste, quella è una cosa che ho imparato dai Coach più avanti di me in quel momento. Ma la cosa meravigliosa è stata quando ho scoperto cosa faceva Coach Perlas: beh lui non solo aveva tutte le palline dei tornei, come me del resto, ma ne gestiva pure la temperatura con vari trucchetti! Ad esempio in Australia si andava a vedere la temperatura e metteva le palline la sera prima a quei gradi centigradi mantenendole calde con un termos quando le portava al campo di allenamento. Le mie palle “australiane” rimbalzavano in un modo, le sue in un altro, esattamente come avrebbero dovuto fare nell’estate australiana. Lì capisci il livello di dettaglio! Poi se devo consigliare un corso, quello GPTCA a MILANO è sempre stato un aggiornamento fantastico: lì sono arrivati i più grandi da Bollettieri a Pato Alvarez, Ronnie Leitgeb. Quando sono arrivato io a fare il relatore, per me è stata una grande soddisfazione. Un aneddoto interessante è il racconto di Ronnie Leitgeb che per vedere la reazione dei suoi ragazzi, quando allenava Muster e Gaudenzi, arbitrava chiamando fuori delle palle sbagliate. E lo stesso faceva Toni Nadal. Si fa per vedere se i ragazzi riescono a mantenere la concentrazione, o se vanno via di testa.“
Quali allenamenti fai per il ritmo?
“Quello di usare il metronomo per il servizio l’ho appreso da Luca Gasparini. Lui aveva misurato il tempo di Federer che era 47 BPM, con i due bip tra quando lasciava la palla a quando la impattava. Quasi sempre chi ha problemi col servizio trova benefici con il lavoro al metronomo, spesso per problemi di lancio troppo alto che viene sistemato. Indurre un lancio più basso attraverso il suono del metronomo può aiutare e comunque dà consapevolezza al giocatore. Oggi ci sono tanti strumenti, basta usarli, o prendere spunto per poter creare esercitazioni positive ed utili. Tuttavia io non uso tantissimo il metronomo per il ritmo, perché indurlo artificialmente può non essere adatto a volte. Può starci che col metronomo un tennista giochi in effetti ad un ritmo più alto del suo solito con soddisfazione, però per giocare a quel ritmo magari prende la palla in demivolee, cosa non reale poi in partita. Uso il metronomo prendendo il ritmo dei miei giocatori ma li lascio giocare liberamente in palleggio come loro viene naturale. La musica comunque è fenomenale, la uso tantissimo anche d’estate sia per dare allegria sia per gesti tecnici o movimenti atletici: musica ritmata per saltare ad esempio oppure un bel rock per provare a prendere la palla in anticipo lavorando sull’aggressività. ”
Cosa si intende per talento?
“Una volta andai da un tecnico argentino e gli chiesi come facevo a capire tra i miei ragazzi chi avesse più talento. Lui mi rispose: ”Facile, quello che impara veloce.”. E questa è una grande verità. Poi ci vuole una gran voglia di imparare, questo è sicuro. Occorre la disponibilità totale del giocatore.”
Comunicazione con i giocatori.
“Stefano Galvani ad esempio era molto nervoso, e quindi cercavo di calmarlo, aveva bisogno di serenità. Durante le partite dovevo essere una mummia, non dovevo parlare; al contrario con Adriana dovevo essere un ultras, esultare, giocare la partita con lei. E’ molto importante capire di cosa ha bisogno il vostro giocatore. Al di là di quello che pensiamo noi e delle nostre caratteristiche e tendenze, dobbiamo essere noi allenatori ad adattarci, mostrando al tennista che stiamo nella stessa barca e facciamo tutto ciò di cui ha bisogno per raggiungere il risultato. Durante l’allenamento a me piace che il giocatore senta la mia presenza. Quando venne ad allenarsi Nerman Fatic una delle prime volte ci stavamo allenando insieme quando lui sbaglia una palla e fa segno che ha rimbalzato male; poi ne sbaglia un’altra e di nuovo cancella il segno con una smorfia per un rimbalzo fuorviante. Allora io mi zittisco e quando lui mi chiede cosa ho, gli dico che a lui non serviva un coach ma un custode che sistemasse il campo perché sembrava che sbagliasse i colpi a causa del campo e non per suoi reali errori.”
Come si migliora il timing sulla palla.
“Il timing è un ritmo, una capacità coordinativa, quindi si allena bene col metronomo, con la musica. Il timing si può migliorare osservando le caratteristiche del giocatore, guardando le sue aperture ad esempio. Le aperture cambiano a seconda della posizione in campo ma anche in base al tipo di gioco. Un terraiolo può avere senza dubbio aperture più ampie. L’erbivoro ha al contrario movimenti brevi e corti. Il timing è dato dalla posizione della racchetta al momento del rimbalzo della palla. Ci sono due momenti importanti nel timing riguardo al tennis: uno è il timing dei piedi, è necessario essere in tempo con lo split step, cioè non sta atterrando (dopo il salto) quando l’avversario colpisce la palla. Il secondo tempo importante è quello delle aperture: quando la palla rimbalza la racchetta dovrebbe essere già nel momento di massimo caricamento. E questo quasi sempre coincide con l’ultimo passo. Tutto ciò si controlla molto bene con la videoanalisi di Danilo Pizzorno.”
Quando fai l’analisi post match col giocatore?
“L’analisi la fa lui, non la faccio io, anche se mi segno tutto e quindi ho comunque le mie opinioni. Io voglio sentire la sua versione prima, poi al limite gli dico la mia. Sono importantissime le sue sensazioni sul match. L’analisi viene strutturata così: per prima cosa il tennista mette le cose che ha fatto bene, sui piani tecnici, tattici, atletici e mentali. Poi scrive le cose che ha sbagliato. E quelle che ha fatto bene il suo avversario, e le cose che ha sbagliato l’avversario. E infine si scrive in che percentuale il piano di gioco è stato rispettato. Per piano di gioco intendiamo degli obiettivi da raggiungere: ad esempio la percentuale di prime di servizio, o prendere la palla mentre sale, obiettivi di atteggiamento in campo, rispondere lungo centrale, o mettere i piedi in campo e via discorrendo. Oggi i tennisti giovani hanno spesso il problema di non possedere una chiara identità di gioco. Non sanno perché vincono e perché perdono. Rafter e McEnroe hanno fatto finale al Roland Garros facendo serve and volley, perché sentivano di avere una identità sicura. I grandi giocatori rispettano il piano di gioco, provando a trovare di volta in volta piccoli adattamenti. Il giocatore dovrà capire su quale diagonale giocare preferibilmente contro un certo avversario, con quali altezze di palla, con quali spin.”
Pat Remondegui nell’accademia romena di Hanescu
Fai anche consulenze esterne in altri circoli?
“Sì, attualmente con Danilo Pizzorno seguiamo una scuola in Romania, poi Melfi, Matera, collaboro con Marcello a Perugia. Poi nel mio circolo al CT Zavaglia a Ravenna vengono tantissimi ragazzi da tutta Italia a fare stage, soprattutto in estate. Per esempio due volte a settimana viene Nicole Fossa Huergo, il cui papà fa il Maestro, è al TC Bologna.”
Quanto incide il divertimento nelle tue motivazioni di coach.
“Sono fortunato perché faccio un lavoro che mi piace. Io mi auguro con tutto il cuore che i miei figli trovino una passione come ho fatto io.”
Che consiglio dare a un buon tennista, magari un 2.4, per diventare professionista?
“Fare tornei. Confrontarsi con 15mila dollari già da subito. Molti pensano di essere giocatori, ma semplicemente girano il mondo con i soldi di babbo e mamma. Andare però in El Salvador e poi in altri posti sperduti solo per dire di essere un professionista quando si possono fare tornei anche in Italia, trovo che sia una perdita di tempo e soldi. Quando vado ai i 15mila dollari vedo gente che fa turismo e non fa la vita del professionista. Non dà il massimo, non è un tennista 24 ore al giorno con l’atteggiamento giusto. A volte non si scaldano, si allenano pochissimo, a volte solo un’ora al giorno.”
Tre aggettivi per il coach del futuro.
“Le caratteristiche sono sempre le stesse. Passione, Professionalità, Comunicazione. La Comunicazione è determinante e va saputa maneggiare con cura. Tanto è importante che a volte i giocatori viaggiano con accompagnatori che non sono tecnici perché alla fine conta essere d’aiuto, risolvere problemi.”
Alessandro Zijno
Sei sempre un grande Ale…complimenti
grazie Salvatore!!!! smack!!!!