Alberto Castellani: “Nel Coaching del tennis l’unica regola è che non ci sono regole.”
Alberto Castellani è fondatore della GPTCA, l’unica associazione riconosciuto da ATP per formare Coach nonché allenatore di giocatori pro. E’ stato nominato tra i tre finalisti agli ATP award del 2020 nella categoria “premio alla carriera per coach non giocatore”. Mi onoro di aver partecipato ai suoi corsi, che rappresentano un valore aggiunto immenso non solo alla mia professione di allenatore ma alla mia crescita personale come uomo. (Alessandro Zijno)
“Quello che mi differenzia da tanti altri bravissimi Coach è che ho preso dei ragazzi giovani e li ho portati tra i primi 100 giocatori del mondo. Mi gratifica molto essere forse il Coach che ha allenato più tennisti portata dal numero 300/400 ATP al 100. Ho allenato Marc Rosset, Hicham Arazi, Damir Dzumhur, Ivo Karlovic, Laslo Djere e mille altri. Ho una visione un po’ particolare del tennis, per la quale considero l’aspetto mentale il più importante in questo sport. E questo lo ripeto a tutti i corsi GPTCA, gli unici riconosciuti dall’ATP e di cui mi onoro di essere il Presidente. Nel Board ci sono Toni Nadal, Rainer Schuettler (ex top 5) e Dirk Hordorff.”
Vicino emotivamente agli atleti.
“Ricordo un episodio. Allenavo Reda El Amrani, un tennista molto forte che poteva diventare numero 20 al mondo ma ha avuto tantissimi infortuni. Giocò Casablanca, un ATP, vinse il primo turno lottando come un leone da zoppo nel terzo set. Poi vinse anche la seconda partita e si trovò nei quarti di finale. I giornali marocchini ne parlavano come il nuovo fenomeno del tennis del Paese. Tutti lo chiamavano, tutti lo cercavano, era in auge. Allora lui venne da me e mi disse: “tutti mi cercano, perché tu sei lontano?”. Era un piccolo rimprovero che oggi rileggo con occhi nuovi e mi accorgo che aveva ragione. La gioia non aspetta altro che essere condivisa. Io gli risposi che mi avrebbe avuto vicino nei momenti in cui sarebbe stato in contatto con dei grossi problemi e avrebbe ricevuto il mio appoggio. La risposta era data col cuore: lui avrebbe in effetti poi avuto molti problemi, interruppe la carriera più volte anche per vari infortuni, in effetti. L’empatia è la qualità determinante di un buon coach, e l’intelligenza relazionale ne è un fondamento.”
Damir Dzumhur, e il rapporto tra tennisti e genitori, coach e famiglia. Camila Giorgi.
“Molto spesso il rapporto tra tennista e genitore è un rapporto conflittuale. Anche Damir ha un rapporto conflittuale col papà, cosa di cui il ragazzo mi parlava spesso quando lavoravamo insieme. E io gli ho sempre detto di non lasciarlo, di non allontanarsi da lui. Non è sempre così ovviamente, ogni storia è diversa, ma in genere l’energia che dà un genitore è spesso un fattore. I genitori sono punti di riferimento per un giocatore nonostante il rapporto possa essere conflittuale. Ci sono tanti padri-padroni, per così dire, il papà della Pierce, lo stesso padre della Dokic, o delle Williams per certi versi, ma sono quelli che hanno aperto la strada alle loro figlie o figli. Lo stesso successe anche ad Agassi in fondo. Poi caso per caso bisogna analizzare se e come è utile l’allontanamento del tennista dal genitore. Nel tennis c’è un’unica regola: non ci sono regole. Tutto quello che va bene per una persona può non andare bene per un’altra. Ci sono dieci tennisti che fanno la stessa cosa, poi arriva l’undicesimo ne fa un’altra e funziona, rivoluzionando le opinioni e il pensiero. Il coach intelligente è proprio quello che trova il modo di capire l’atleta e sceglie di conseguenza: e si torna all’importanza dell’empatia. Se mi chiedi la mia opinione su Camila e il suo famoso rapporto col papà ti dico che Sergio sta lavorando bene: chi può dire che Camila arriverebbe tra le prime 10 e invece non cadrebbe sotto le 500? Da fuori non si può certo parlarne. In realtà la ragazza è numero 1 d’Italia, sta lavorando con profitto.”
Nei corsi parli dei 3 Io, presa dall’analisi transazionale e dalla teoria degli stati dell’IO.
“Dovendo ridurre in pochi minuti una lezione di 4 ore che tengo all’Università ti posso dire che spiega il comportamento dei giocatori in campo e a me è servita per una applicazione che si chiama Egograms (per Android, scaricatela perché è fenomenale NDR), attraverso la quale arrivo a dare una soluzione a quello che chiamo il Paradosso del Tennis. Il Paradosso del Tennis è questo: se chiedete a giocatori di alto livello quale è l’aspetto più importante del vostro sport, risponderanno per l’80% il mentale e per il 20% il fisico. Quasi nessuno risponderà l’aspetto tecnico-tattico. Certo vanno allenati tutti gli aspetti, è ovvio, ma poi alla fine tutti investono le ore d’allenamento per la maggior parte sulla parte tecnica e tattica. Anche nelle nostre scuole tennis facciamo esattamente questo trascurando colpevolmente il mentale. Nei tornei degli Slam e ATP ci sono decine di pagine di statistiche sui colpi, quindi sulla prestazione tecnica e tattica. E adesso anche fisica, quanti chilometri hanno fatto i tennisti, quanti vincenti, quanti errori. Ma non c’è nulla sulla prestazione mentale. E invece la mia applicazione Egograms va proprio a valutare quel tipo di aspetto attraverso dei numeri. Alla fine dell’incontro di tennis con l’APP Egograms hai un grafico in cui si può vedere quale atteggiamento è stato prevalente nel tennista durante il match e lo confronti con la prestazione: se è vincente, perdente, positiva o negativa. La base è la teoria dei 3 IO: esistono 3 modalità di approccio della realtà. Il Bambino, L’Adulto, Il Genitore. Il Bambino è l’atteggiamento per il quale le emozioni si esprimono fortemente, alla Mc Enroe che protestava platealmente o rompeva le racchette. L’Adulto è nel momento ad esempio in cui il tennista si parla e si consiglia su qualche tipo di colpo giocare. State in modalità adulto adesso che state ascoltando o leggendo l’intervista: l’avete scelto in modo consapevole e ragionata. Il Genitore è quella modalità per la quale fate uscire la parte morale, chi vi ha dato delle regole, in genere i genitori o la religione o l’ambiente. Ad esempio quando il giocatore sente che deve allenarsi 5 ore, entrare in campo e mettersi sotto è spesso la parte genitoriale che ascolta, il senso del dovere. C’è un flimato che si trova anche su Youtube in cui il grande Tommy Haas si parla in terza persona rimproverandosi per degli errori: è chiaro che sente un’istanza esterna, l’IO Genitoriale che lo sta riprendendo per gli sbagli e aggiunge che è giusto che perda, come punizione.”
Un esempio mirabile.
“Pochi mesi fa mi è successa una cosa che spiega bene questi tre stati dell’IO vissuti in pochi minuti da uno dei miei giocatori. Questo mio allievo si stava allenando con un top 100, e quindi era molto emozionato. Mentre si allena sbaglia un colpo, poi un altro, poi un altro ancora, preda della rabbia scaglia via la racchetta e quasi mi colpisce in faccia. Io mi alzo con l’intenzione di andare in aeroporto e lasciarlo, lui mi insegue dopo qualche secondo e mi chiede scusa. Ecco i tre stati dell’IO in pochi istanti uno appresso all’altro: il Bambino scaglia la racchetta in preda alla rabbia, poi il tennista sente una voce dentro di sé che è l’IO Genitoriale che lo rimprovera e gli ricorda che la morale impone il rispetto e poi le scuse. E quindi L’IO Adulto a quel punto si mette in moto per venire a scusarsi con me.”
L’energia psichica.
“L’energia psichica non è infinita. In ognuno di noi ce n’è una quantità: come quella fisica. Bisogna usarla bene. uso una metafora: Nadal ha una Ferrari e un 2.6 italiano ha una cinquecento. Ma entrambi hanno un serbatoio. Se entrambi lo riempiono come si deve e consumano la benzina dentro in modo intelligente e utile, uno vincerà lo Slam, l’altro magari un Open. Ma entrambi arriveranno alla meta. Se la sprecano allora no, e spesso nelle partite tra tennisti di pari livello porta a casa il match chi spreca meno energie mentali o comunque chi le utilizza meglio.”
L’esperienza di Alberto Castellani con Djokovic da piccolo a Bettona. E come crescere un campione che non abbia troppe risorse economiche.
“Beh, se la famiglia non ha tanti soldi certo non può andare in quelle Accademie da 2000 euro a settimana. Io a Merida ne avevo creato una in cui si pagavano 250 euro a settimana compresi dormire e mangiare. E infatti fu ricercatissima e molto frequentata. Oppure bisogna trovare qualche tecnico che investa sul ragazzo. Io l’ho fatto spesso nella mia vita, con tanti giocatori è andata male con qualcuno è andata bene. Come regola generale è determinante una grande quantità di allenamenti più ancora della qualità. Più ore si giocano meglio è. Ma ancora una volta si torna al discorso dell’empatia: è il coach, l’allenatore, a capire quale percorso è migliore per il proprio ragazzo. A proposito di Djokovic appena lo vidi capii che poteva diventare il numero 1 al mondo, mi colpì per le qualità coordinative, l’intuizione, l’intelligenza. Giocava già a scacchi anche molto bene. Aveva 10 o 11 anni Nole. Lo feci giocare con un ragazzo italiano che era tra i più forti giovani del panorama azzurro, che non riusciva a vincere un game. Quale era la differenza? Che il nostro giocava 4 volte a settimana per un paio d’ore al giorno, Nole giocava tutti i giorni, compresi i sabati e le domeniche 7 ore al dì. Se io posso dare un consiglio ai coach è quello di far giocare parecchio i propri allievi.”
Quale è l’aspetto più difficile da allenare e come l’alleni.
“Beh, più sulle debolezze: ad esempio con Karlovic abbiamo lavorato tanto sul rovescio, non che il servizio non lo curassimo ovviamente. Si prova a migliorare ma il risultato non è mai certo né sulla tecnica né sul mentale. Ciò che migliora sono le qualità condizionali, forza e resistenza in particolare. La parte più difficile è l’aspetto mentale: alcuni giocatori non arrivano al proprio massimo perché non raggiungono l’arousal (stato attentivo-cognitivo che porta la reazione veloce e positiva agli stimoli), mancano di fiducia in se stessi, o di concentrazione. E sono tutti tipi di allenamenti che noi facciamo in campo. Allenamenti pratici, durante il palleggio o le varie sessioni, non in un’aula. Ci sono molte tecniche che insegniamo: come controllare lo stress ad esempio, come abbassarlo.”
Per essere un buon Mental Coach è necessario essere uno psicologo?
“No. Mi è capitato molte volte in carriera di proporre ad un atleta un percorso volto ad un miglioramento delle proprie percezioni o stati d’animo. Al giocatore quando gli dici che arriva uno psicologo scatta un meccanismo di difesa dovuto anche ad un certo pregiudizio. Ora io faccio da solo col Dott. Tamorri che mi fa supervisione. In genere con un atleta di alta performance si parte comunque da un soggetto sopra la media, almeno per quanto riguarda l’abitudine alle sfide che ha dovuto affrontare nella vita. Dopo la scuola Maestri frequentata a Roma con il grande Rasicci, ho capito che il solo aspetto tecnico non era sufficiente e ho approfondito il discorso mentale, cercando di capire i meccanismi delle nostre emozioni, come funzionano gli aspetti cognitivi e ho fatto corsi specifici di formazione. Poi ho sperimentato delle cose, e alla fine sono approdato ad un mio metodo. Se poi c’è qualche patologia del comportamento, beh allora il coach può non bastare.”
Come definiresti il tuo metodo di coaching?
“Io l’ho chiamato il “Coaching Bello”. C’è una parte invisibile dell’allenamento, che è il tempo passato dall’allenatore col giocatore fuori dal campo, in tutto ciò che non riguarda direttamente il tennis ma piuttosto investe la crescita personale dell’atleta. Più il giocatore cresce come uomo più cresce come atleta. Io cerco di stimolare l’atleta a conoscere le cose, porto i miei ragazzi ai Musei, ai concerti, perché penso che un giocatore che cresce a livello personale diventa più forte a giocare a tennis. Anche in questa ottica è fondamentale l’empatia perché ogni persona ha un carattere unico, le personalità sono differenti e il coach si deve relazionare tenendo presente le caratteristiche culturali e temperamentali di ciascun giocatore.”
Quali sono gli elementi che ti fanno scegliere o meno di seguire un tennista giovane.
“Guardo le 7 capacità coordinative. Faccio i test coordinativi e mi faccio una idea. Questo in generale ovviamente. Noi lavoriamo con 2 obiettivi fondamentali: il primo è mentale ed è il raggiungimento dello stato di flow, con il superamento dei propri limiti attraverso la gestione delle emozioni. Lo Stato di Flow, che gli americani indicano spesso con “In the zone” è una distorsione spazio-temporale, come se il tennista si osservasse da fuori uscendo dal proprio stesso corpo che continua a giocare in modo automatico e positivo. Il giocatore vede la rete più bassa, il campo più grande, sente la racchetta più leggera, la palla gli sembra arrivare più piano. Nello stato di Flow cambia la percezione della realtà: un mio giocatore giocava contro il numero 2 del mondo e mi diceva che gli sembrava di avere tantissimo tempo in risposta. Quando gli ho detto che l’avversario aveva servito ampiamente sopra i 200 km/h si è meravigliato. Il secondo è un fine tecnico, lavoriamo affinchè il giocatore arrivi al colpo prassico, perfetto (per lui e le sue caratteristiche). Non è solo una questione di biomeccanica dunque, perché ho visto colpi di giocatori che andavano contro le leggi della biomeccanica ma per il loro gioco erano efficacissimi. Proviamo a raggiungere il movimento economico-utile, in modo da non sprecare energia per mandare la palla da un punto all’altro ad una determinata velocità. Questo è il colpo prassico. Quindi ripeto i due obiettivi: a livello mentale il Flow e a livello tecnico la prassia (movimento più economico/UTILE possibile). Mi piace molto in tal senso Rublev, che ha una coordinazione impressionante: lui sembra toccare appena la palla e questa viaggia fortissimo, e tra l’altro muscolarmente non è potentissimo.”
Claudio Grassi.
“E’ un tennista unico. Lui batte con la sinistra e poi gioca con la destra. Molti tecnici gli dicevano di cambiare sta cosa, mentre io gli dicevo che questa poteva essere la sua forza. Lui con il suo tennis è arrivato a risultati importanti: nel doppio vicino alla top 100. Dal punto di vista della tecnica pura era sicuramente non convenzionale eppure ha raggiunto parecchi suoi obiettivi.”
Cosa pensi di Sinner e dove può arrivare?
“Per la verità non l’ho visto tantissime volte. Dai risultati sembra talmente precoce che si può solo prevedere una bellissima carriera. Ci sono i presupposti per arrivare in top ten e anche vincere uno Slam. Con i giovani può succedere qualsiasi cosa.”
L’allenamento col muro e L’immaginazione
“Se il ragazzo si diverte va benissimo. L’apprendimento è spesso una conseguenza del divertimento dell’atleta. O spesso li faccio giocare con la musica, cerco ti trovare il sistema di motivare i ragazzi in tal senso. Una caratteristica del mio Coaching è proprio questa, cambiare molto le esercitazioni per evitare la noia. Poi ognuno è diverso. Ho visto ad esempio Chang fare la stessa esercitazione per un’ora di fila. Ma usare l’immaginazione è fondamentale per un Coach: immaginare le esercitazioni, inventarle, pensando all’obiettivo tecnico o tattico ma anche a quanto divertimento possa creare nei ragazzi. La creatività è un’altra arma formidabile nelle mani del Coach. La parola immaginazione deriva dal latino: “In me mago agere” che potremmo tradurre con un bellissimo Azionare il mago che è in me. Tutti abbiamo una parte creativa, basta azionarla e coltivarla.”
L’insegnante insegnato e la versatilità del coach.
“Quando il coach va in campo con i suoi esercizi, le sue spiegazioni, insegna ma contemporaneamente deve ascoltare e ricevere feedback. Qualche volta faccio proporre a loro degli esercizi, ai ragazzi. In quel momento tu coach impari. La lezione deve essere interattiva, viva, un processo osmotico: ho visto troppi maestri chiudersi nelle loro routines di allenamento, hanno esercizi preparati e non escono dal seminato, finendo col rinunciare alla creatività e all’ascolto dei propri allievi. I quali allievi al contrario hanno molto da insegnare a noi, oltre che molto da imparare. E’ uno scambio. Questo concetto ci conduce alla versatilità di un insegnante, che deve saper cambiare le cose: se un esercizio, o un modo di comunicare non funziona, beh, deve essere capace di variare. Oggi hai deciso di fare un certo tipo di esercizi per il diritto? Però i tuoi ragazzi ti comunicano che preferirebbero altro? Trova una soluzione per il raggiungimento degli obiettivi che ti sei prefisso per migliorare il loro diritto.”
Juniores o Pro per i giovanissimi?
“Ho una convinzione, appena è come minimo pronto il giovane tennista deve giocare nei circuiti superiori: anche se prende 6-1 6-1, nessun dubbio su questo. Toni Nadal la pensa allo stesso modo. La mia diatriba con la Federazione è cominciata su questo terreno. Avevo dei giocatori che giocavano bene e la Federazione voleva che competessero nel circuito giovanile. Ai tempi c’era la Commissione Tecnica Nazionale e tutto passava per questo istituto. Negli altri Paesi non funzionava così e i ragazzini più promettenti giravano i Satelliti che erano i Futures di oggi. I nostri no, dovevano passare sotto il giudizio Federale e si creavano polemiche, perché ad alcuni davano i permessi e ad altri no. Mi è capitato più volte che ad alcuni miei giocatori non veniva dato il permesso per giocare le quali dei Satelliti per il veto della Commissione. Feci dei litigi pazzeschi in questo ambito tanto che poi hanno cambiato le regole. Per fare un esempio adesso sono arrivati in Italia due ragazzi Under di Cuba, che sono da Luca Vilone, un Maestro in gamba al quale li ho affidati ed è riuscito a fargli avere la classifica italiana di 2.7 credo. E gli ho consigliato di fare subito le quali dei Futures. In poco tempo, sono parole di Luca Vilone, sono passati da un livello di 2.7 2.8 ad uno di 2.5 2.4, crescendo bene, questo perché gli ha alzato l’asticella.”
Hai un rimpianto Alberto?
“Ci sono dei giocatori che avrei voluto allenare in modo continuativo. Ad esempio Djokovic. Ho fatto di tutto per allenarlo: il padre lo portò da me su indicazione di un industriale italiano, e provammo a trovare le condizioni per poter restare. Io ero disposto a farlo anche gratis, tanto credevo in lui. Ma subì le pressioni di Pilic. Tra l’altro sono stato in Nomination per un Oscar ATP alla carriera di coach, insieme a Pilic stesso che ha allenato Nole e a Roche che ha allenato Roger. Per me è stato un grande onore.”
Merida in Messico è sempre un punto di riferimento?
“Sì per la preparazione invernale della prossima stagione volevo andare, ma ora con questa situazione è tutto un po’ spiazzante. Vediamo cosa succederà. Comunque vorrei rifarla o a Cuba o a Merida.”
Consigli per un bambino di 12 anni che vuole diventare forte?
“Giocare tutto il tempo che si diverte. Il limite è quello, il divertimento. Ricordo che la Kournikova si allenava ore e ore, le piaceva e non si stancava mai. Quello che posso dire è che allenandosi 2 o 3 volte a settimana non si arriva al tennis di altissima performance.”
Quale è il più grande successo che senti di aver ottenuto come Coach?
“Ho avuto dei giocatori che hanno fatto Quarti di finale negli Slam, e hanno vinto tornei ATP, ma ciò che mi dà più soddisfazione è rendermi conto di aver plasmato un tennista, come farebbe uno scultore con una pietra. Il Coach è un artista che prende un ragazzo che ha coordinazione grezza e lo porta al colpo prassico e alla disponibilità variabile. Quindi per me fare un capolavoro non significa diventare numero 1 del mondo ma portare il ragazzo al massimo sviluppo delle capacità insieme intellettuali e motorie. Mi ricordo il bel lavoro fatto con Luca Sbrascini, che non era un fenomeno ma ha raggiunto il massimo: partendo da qualità medie abbiamo raggiunto il professionismo e per me è motivo di grande soddisfazione. Poi con Rosset quarti a Wimbledon, con Arazi in Australia.”
Esiste un connubio tra arte e tennis?
“Per me è importantissimo. Nei miei corsi ci sono tanti riferimento all’arte, al Rinascimento italiano. Del resto l’italia è una Nazione artistica. Ogni Coach ha il suo stile, esattamente come i pittori o gli artisti in genere: vedi un tennista e più o meno puoi capire da quale scuola o Coach viene. Ad agosto 2020 ci sono i corsi GPTCA a Bettona per Level C e Level B, oltre ai corsi di Mental Coach ISMCA, e vi potrete togliere parecchie curiosità in tal senso.”
Alessandro Zijno
Quindi, se un genitore mi dice che è contento di mandare suo figlio da me perché non impara solo quello sono sulla strada giusta?
Direi proprio di si!!! Gianpaolo tu sei un grande allenatore, un grande insegnate e una bellissima persona. Credo ormai te ne sia reso conto 🙂
Alberto: il “M”aestro che tutti vorrebbero avere.
pienamente d’accordo M maiuscola