Cristina Pelli: “La squadra è la mia forza. Tanti campioni insieme nella stessa società è il segreto della Sport Life ai vertici del pattinaggio mondiale.”
Intervista a Cristina Pelli di Davide de Il Pattino di Riccione.
Cristina Pelli è stata prima l’allenatrice, poi la moglie e socia di Patrick Venerucci (qui l’intervista), 11 volte campione del mondo. E’ anche mamma e allenatrice di Sara Venerucci, orgogli anch’essa del pattinaggio artistico azzurro.
Come Cristina Pelli si è approcciata a pattinaggio?
“Io sono nata a Reggio Emilia, mi padre aveva una cugina famosa pattinatrice e quindi nostra madre ci portò a pattinare al Crostolo. Piacque solo a me, mentre le mie sorelle smisero. Lì c’era Antonio Merlo, che era un grande campione e veniva ad allenarsi. Poi ci siamo trasferiti a Rimini, dove però non c’era ancora niente di strutturata e è cominciato tutto con me praticamente. Verso i 18 anni poi ho deciso di cominciare ad allenare e mi è piaciuto subito.”
Come è stato il passaggio da atleta a allenatrice per Cristina Pelli?
“Quando io ho cominciato ad allenare la nazione più forte era l’America. All’inizio non avevo ambizioni, solo con i bambini piccoli dell’avviamento. Il mio obiettivo era solo che imparassero i primi rudimenti, e mi sentivo importante nel farli crescere. Vedevo che la mia energia e il mio carattere erano d’aiuto ai bambini, e la cosa funzionava. Da lì in poi ho cominciato a seguire i campionati nazionali, poi gli Europei e i mondiali. Ero affascinata dagli americani, in tutte le discipline ma soprattutto nella coppia artistico che a me è sempre piaciuta tantissimo. Li studiavo, ne ammiravo l’estro. Ho iniziato con poca tecnica e tanta energia e curiosità. All’inizio provi a fare, ma non hai esperienza e quindi nemmeno la sicurezza che quel che fai sia adatto o corretto per il tuo contesto. Il segreto furono le tante ore in pista, l’energia massiva, il pensiero fisso sul pattinaggio e la voglia di apprendere dagli errori. Ho capito subito che questa poteva essere la mia vita, ciò che mi avrebbe realizzato come sportiva e come persona. Intanto tra l’altro mi ero laureata all’ISEF, quella che oggi è scienze motorie ad Urbino. Ero appassionata e i risultati venivano: i ragazzi mi seguivano tanto e io mi sentivo immersa completamente in questo ruolo. Essere allenatore significa per prima cosa essere un educatore, e per come ci sta trattando il governo a volte viene il sospetto che non capiscano l’importanza del nostro lavoro.”
Quando hai cominciato a vedere i risultati veramente concreti?
“Si facevano i campionati italiani a Bitonto e combattevo con i miei atleti contro altri ragazzi forti e on allenatori molto famosi ed esperti. In più c’era molta politica che andava a influire sui giudici. C’erano delle famiglie che necessariamente dovevano essere ai primi posti. Io non ero davvero nessuno eppure nei piccoli vincevo e questo mi ha dato tanto stimolo. Dopo i risultati tuttavia non pensavo mai di essere “arrivata”, non lo penso nemmeno tuttora dopo campionati del mondo a raffica. Anzi, al contrario pensavo di dover imparare ancora molto, da tutti. Però sentivo che era qualcosa che mi dava soddisfazione.”
Poi è arrivato Patrick Venerucci per Cristina Pelli.
“Sì, Patrick è stata la svolta in tutti i sensi, visto che è ancora qua, è mio marito e padre di nostra figlia. Per quando riguarda il discorso sportivo credo che ci sia sempre nella storia di un allenatore quell’incontro determinante con l’atleta giusto. Con Patrick ci fu subito sintonia, arrivavano i primi risultati e il binomio funzionò immediatamente.”
Voi siete allenatori di altissimo livello oggi e siete tra i pochi ad avere una società tutta vostra, la Sport Life di Rimini.
“Io ci ho sempre creduto nella società e mi ha fatto piacere sentire il nostro Presidente Federale Sabatino Aracu dare valore alle società rotellistiche concedendo aiuti economici in questo momento così difficile. Non potrei fare la allenatrice privata e basta, io mi nutro delle emozioni della società, del gruppo di lavoro, non solo dei campioni. Mi piace l’aspetto organizzativo, essere il direttore tecnico. Noi lavoriamo anche con atleti esterni che ci chiedono lezioni private o un percorso formativo, e lo facciamo con molto piacere. Tuttavia il gusto del gestire la società è unico. E’ bellissimo e appagante portare un allievo dall’avviamento fino ai vertici mondiali.”
Come riesce Cristina Pelli a gestire un gruppo di atleti molto forti, visto che voi ne avete parecchi?
“Questa è anche la nostra forza in fondo. Quando hai un solo atleta, prima o poi arrivando la crisi, finisci con l’essere condizionato anche tu allenatore. Quando tu ne hai tanti, come facciamo noi, e medio-alti come livello, succede che gli atleti stessi si realizzano nella collettività perché traggono stimoli dai loro compagni. Si crea quindi un ambiente propositivo e anche un po’ concorrenziale, per cui tutti danno il massimo per sconfiggere il proprio compagno di allenamento. Anche per noi allenatore questa ricchezza di ragazzi, ci fornisce tante chiavi di lettura diverse, ci permette cioè di migliorare il nostro bagaglio di esperienze. E’ molto importante questo aspetto. Hai da affrontare, tu come allenatore, diverse problematiche perchè ogni atleta è differente, sia nella tecnica che nel linguaggio, sia nel fisico che nell’atteggiamento. Lavorare con ragazzi con background differenti è altamente formativo per tutto l’ambiente e per noi in primis.”
Come gestisce Cristina Pelli la scuola?
“Cerchiamo di seguire i campioni così come le bimbe e i bimbi che cominciano. Un altro dei segreti forse è quello. Certo è molto impegnativo, considera che è più faticoso curare i principianti che migliorare un atleta già fatto. Ma questa è una grande sfida: io credo che conoscere il futuro campione fin da quando è piccolo sia molto importante, sia per le basi tecniche sia per conoscerne gli aspetti del carattere. Noi curiamo i dettagli di chi comincia ed è alle prime armi: per fare un esempio un arrivo pulito di un alto, è un dettaglio da curare fin dal principio, e bisogna soffermarcisi fin quando serve. E invece molti hanno fretta di andare avanti, prima di sistemare alcune basi. Questo è uno sport in cui se perdi i particolari, poi perdi l’atleta nel tempo. Come allenatore devi investire nei particolari e nei fondamentali, perché poi te li ritrovi. Noi ormai siamo una istituzione, perché la gente sa che c’è un metodo, pur nella gestione personalizzata che è ormai delineata per tutti gli atleti e le persone riconoscono che la produzione di una base così ampia di talenti non è fortuna, ma lavoro. La fortuna ovviamente influisce nel trovare il campione assoluto, il fuoriclasse.”
A quali allenatori si è ispirata Cristina Pelli?
“La cosa principale è studiare. Ho avuto dei modelli, degli allenatori che più di altri mi hanno formato. Ad esempio Sara Locandro (qui il sito della grande allenatrice), grandissima esperta di biomeccanica applicata al pattinaggio. Poi Quirini, che mi ha sempre dato tanta carica, è uno che ti trasmette l’idea di credere sempre fino in fondo in ciò che fai. Però bada bene, non è che tu vai ad uno stage e prendi per oro colato quello che dicono: devi fare tuoi i concetti, lavorarci, elaborare le tue strategie di comunicazione e adattarle alle capacità e alle caratteristiche dei tuoi allievi.”
Se tu dovessi dare un consiglio ad una ragazza che vuole diventare allenatrice.
“Innanzitutto non voler arrivare subito al risultato: questa è la cosa più sbagliata. Studiare, lavorare tanto, non affezionarsi solo ad un atleta. Un altro rischio è quello di dedicarsi di più al “dotato” a danno magari di qualcuno che sembra meno talentuoso. Poi mettere in secondo piano il guadagno, almeno all’inizio ma in fondo anche dopo. Prima deve arrivare la passione, lo stare bene mentre alleni, quando pensi a qualche esercizio o a qualche soluzione. Certo i soldi sono importanti, se non ti realizzi anche a livello economico fai fatica anche a star bene nella vita. Io purtroppo vedo adesso tanti giovani che pensano di approcciarlo come lavoro e basta, pensando alle ore che sviluppano in un mese piuttosto che al piacere di allenare e alla soddisfazione dei propri allievi.”
Come sarà la ripresa dell’alto livello dopo questo stop forzato?
“Ci siamo fermati un periodo dell’anno in cui avevamo creato cose nuove, da inserire nei programmi di gara. Non bisognerà avere fretta, ma iniziare per gradi, per poi raggiungere quello che avevamo raggiunto prima dello stop. Bisognerà ripassare i programmi di gara, con le basi, ritrovare la tecnica. Immagino però che gli atleti arriveranno con tanta voglia, del resto quando veniamo privati di qualcosa, quello è il momento che ci accorgiamo se lo desideriamo davvero. Si tratterà di sfruttare quella energia positiva.”
Come si possono far restare appassionati i ragazzi che stanno cominciando adesso, del corso base o intermedio?
“Penso che lo sport sia una delle cose più importanti, soprattutto in questo momento. Bisognerà avere pazienza ancora una volta, magari venire incontro alle famiglie anche economicamente. I ragazzini sono stati troppo in casa.”
Nella tua storia di allenatrice c’è un atleta che ti sarebbe piaciuto allenare?
“Alleno da una vita e ho avuto tutte le casistiche possibili di atleta: ho allenato quello più dotato, quello meno dotato, a quello educato, quello senza empatia, i fidanzati, gay, etero, di tutto e di più. Per cui non desidero più nessuna tipologia particolare di atleta.”
Vedi qualche Paese interessante per la coppia artistico?
“Speriamo che il movimento internazionale si sviluppi bene perché diventa anche noioso arrivare sempre noi italiani primi, secondi e terzi. Spagna, Argentina, stanno provando a migliorarsi ma sono ancora lontani. Una soluzione potrebbe essere fare coppie miste tra nazioni, come si fa anche sul ghiaccio. Ovviamente non alle Olimpiadi.”
Alessandro Zijno
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