Daniele Giorgini: “Potevo essere più ambizioso da giovane. Oggi con Dell’Acqua e Azzaro proponiamo un progetto di crescita per i ragazzi accompagnandoli nei tornei.”
Intervista a Daniele Giorgini, ex 242 del mondo, di Alessandro Nizegorodcew per Sportface.it
La puntata odierna di ’15 minuti con…’ vede protagonista Daniele Giorgini, ex numero 242 Atp e oggi allenatore di tennis. Tra il serio e il faceto abbiamo ripercorso la carriera del marchigiano classe 1984, tra aneddoti indimenticabili e qualche… finestra disintegrata. Chiosa finale sulla stretta attualità e un progetto davvero interessante per aiutare i giovani aspiranti professionisti
Come ha iniziato a giocare a tennis Daniele Giorgini?
“Ho iniziato con mio padre che era professore di educazione fisica e istruttore di tennis. Giocavo anche a calcio ma per la mia famiglia l’ambiente del calcio non era l’idea e quindi alla fine mi sono dedicato al nostro sport.”
Under 18 nei primi 150 del mondo, eri a buon livello anche da giovanissimo.
“Ero a buon livello ma mi sono buttato subito sui satelliti dei “grandi”. Da Juniores ho comunque capito che avrei dovuto fare una scelta perché ero bravino.”
Primi satelliti per Daniele Giorgini.
“Quando giocavo io era una programmazione quasi causale. Si andava rigorosamente da soli, i più fortunati si dividevano il coach con altri giocatori, a volte anche 7 o 8. Era una esperienza che ti faceva crescere molto di autonomia soprattutto a livello di capacità di socializzazione e soluzione di problemi pratici. Eri vincolato a restare lì un mese quindi dovevi arrangiarti un po’ con tutto, dall’organizzazione della giornata alla lavanderia. Si cresceva in fretta come ragazzi.”
Nel 2003 Daniele Giorgini vince la prima tappa di un satellite a Bassano battendo Bolelli, Cipolla e Colla.
“C’erano in effetti giocatori davvero forti, che sono saliti più alti in classifica rispetto a me e sono usciti dalla Jungla, perchè i Futures sono la Jungla. In quell’anno arriva per me anche la prima vittoria in una partita di Challenger a Recanati superando Lorenzi. Non era la mia superficie il cemento, però ho buoni ricordi anche se nel match successivo ho perso da Santopadre. Mi piaceva giocare vicino casa, lì a Recanati e anche a San Benedetto. Al primo turno sconfissi Palpacelli, un personaggio da leggenda: lo conosco bene sia per la vicinanza geografia sia perché nell’ambiente lo conoscono tutti. Quando io ancora mi allenavo a San Benedetto lui ci dava una mano e posso dire che Roberto è una persona splendida. La sua strada è stata impervia per tante situazioni, come ha lui stesso raccontato. Panatta e Bertolucci lo dicono sempre: Palpacelli era insieme a Navarra il talento italiano più fulgido. “
Nel Challenger del Garden nel 2004 Daniele Giorgini batte Koellerer.
“Eravamo entrambi forti atleticamente e lui faceva della parte fisica una delle sue armi. Eppure io gli stavo dietro e questo mi dava molta fiducia. Vinsi 7-6 7-6 e onestamente ripensando al mio livello di gioco avrei forse potuto provare a fare delle programmazioni più ambiziose, col senno di poi. Al turno dopo ho perso con Azzaro 6-1 6-2.”
Daniele Giorgini è entrato nei primi 400 a 19 anni, nei primi 300 a 20, il percorso sembrava andare bene. Ti sei dato una spiegazione del perché poi la crescita è stata solo abbozzata?
“Ho avuto una fascite che non voleva andar via, sono stato fermo 6 mesi e questo mi ha penalizzato anche dopo. Ad un certo punto ho cambiato città per allenarmi e mi sono trovato in un mondo nuovo, dove ho impiegato un po’ di tempo ad ambientarmi. Ero subito dopo Andreas Seppi il giovane con classifica più alta in Italia e non ho saputo gestire alcune situazioni, come l’infortunio e i cambiamenti.”
Chi ha colpito Daniele Giorgini tra i giovanissimi che ha affrontato in carriera?
“Quello che mi ha impressionato di più è stato Krajinovic, per la facilità con la quale gioca a tennis. Khachanov anche soprattutto per il servizio e perché era seguito da Galo Blanco che lo premeva affinchè scendesse a rete a prendersi il punto. Di Goffin, col quale vinsi, mi colpì la coordinazione, come arrivava su ogni palla con un equilibrio perfetto.”
C’è qualche aneddoto che ricordi e che vuoi raccontare?
“Andiamo io e Filippo Volandri a giocare insieme a Bucarest. Partiamo in aereo insieme, belli carichi, senza allenatore. Prendiamo l’hotel insieme, ci alleniamo insieme, e per me era una esperienza importante perché non ero avvezzo ai tornei ATP di quel livello. Ero il nono dentro nelle quali, lui tds e chi pesco? Proprio Filippo. Mi ci allenavo tutti i giorni e non vincevo mai. La reazione di entrambi fu un misto di rabbia e incredulità. Ci sarebbero stati avversari per tutti e due molto più alla portata. Persi al terzo giocando bene. Un altro aneddoto è a Trevignano quando ci allenavamo io e Potito, insieme anche ad Aldi e Petrazzuolo con Zugarelli. Giocavamo alla play e Poto vince ai rigori una partita, esulta e per giocare mi tira per la felpa. Io perdo l’equilibrio e rompo il vetro della camera dove ci ospitava Zugarelli. Era un manufatto, una casettina costruita da Zuga. Abbiamo dovuto mettere una giacca al posto della finestra per poter dormire, che faceva un freddo del diavolo. Aldi dormì con doppia tuta e giaccone per giorni. Zuga era arrabbiatissimo.”
Nel 2010 Daniele Giorgini esordisce agli US Open in uno Slam.
“Persi con Clar Rossello ma entrare negli Slam era il mio obiettivo: giocare uno Slam per me era il modo per uscire dai miei schemi, poter condividere i capi con grandissimi campioni e quindi è un ricordo meraviglioso. Io non viaggiavo molto e quelle erano occasioni importantissime. Vedevo come gestivano allenamenti, pause, vita fuori dal campo. Ad un certo punto entra Nadal in bagno e comincia a fare uno skip pazzesco, così senza apparente motivo.”
Cosa hanno lasciato a Daniele Giorgini i suoi allenatori?
“Io ho cambiato 3 situazioni con 3 allenatori differenti. Le Marche non erano una regione che potessero accogliere dei professionisti o aspiranti tali e farli crescere. Oggi non è più così, quindici anni fa non c’erano gli allenatori che c’erano adesso. Infatti non sono stato l’unico a prendere la decisione di andare in altri lidi. Io a 15 anni sono andato da Vavassori e devo dire che ho trovato una struttura molto buona con un capitale umano che mi ha permesso di crescere anche come persona. Sono stato fortunato in tal senso. Poi sono andato da Zugarelli che mi ha portato a diventare un giocatore professionista: lui era ed è una icona, parlava poco ma qualsiasi cosa dicesse noi l’ascoltavamo come fosse l’oracolo. C’era il gruppo di ragazzi di cui ho parlato prima, tutti molto forti. Avevo quindi tutto da guadagnare anche perché così mi ero avvicinato anche a casa e potevo tornare nel week end. Poi sono finito da Fanucci e anche lì c’era un gruppo di tennisti formidabile a cominciare da Volandri, Galimberti, Luzzi, Bracciali, Azzaro, Dell’Acqua, Aldi, insomma gente molto forte. Là al Match ball, dove io lavoro oggi, c’era la Coppa Davis. Questo ha contribuito alla mia formazione professionale. Voglio citare Lauro Gabbrini (che oggi allena tra gli altri Matteo Lugari, clicca qui per saperne di più) che continua ancora oggi a dare motivazioni fortissime ai ragazzi come ha fatto con me e con gli altri. Adesso forse si cerca più di curare i dettagli, appare più professionale la formazione di un giovane di oggi, ma quello spirito che c’era allora funzionava moltissimo e ancora oggi sarebbe molto utile. Era passione verace quella che trasmetteva Lauro.”
Oggi c’è un bel progetto con Massimo Dell’Acqua, Leonardo Azzaro e Daniele Giorgini.
“Questo progetto nasce per rispondere a quelle esigenze e quelle problematiche difficili da colmare relative all’accompagnamento nei tornei. Un giorno ci siamo ritrovati tutti e 3 in un torneo ETA, ad accompagnare 3 differenti ragazzi. Ci siamo guardati e ci siamo chiesti come potevamo unire le nostre forze e creare qualcosa che mettesse insieme le nostre competenze. Tutto questo perché ci siamo resi conto di quanta importanza assuma per un ragazzo avere un coach che lo accompagni ai tornei. Noi che non lo abbiamo avuto ne sappiamo qualcosa. Ci sono ragazzi che già giocano benissimo ma non sanno cosa succede nei tornei internazionali e gli manca una certa esperienza in questa direzione. Imparano a confrontarsi con i coetanei che vengono da altre culture, apprendono nuovi concetti che li rendono più consapevoli dentro e fuori dal campo da tennis. Quindi noi in pratica diamo un servizio, e non facciamo concorrenza ai maestri che ci affidano i ragazzi. In altre parole non convinciamo i ragazzi ad abbandonare il loro contesto, ma ci rendiamo disponibili per mettere la nostra esperienza al loro servizio in alcune situazioni come i tornei. Sempre tenendoci in contatto con i loro Maestri e in uno spirito di collaborazione. Questo è molto importante sottolinearlo. Anche in Federazione questo progetto è stato ben visto da subito.”
Alessandro Zijno