Simone Vagnozzi, coach di Steto Travaglia: “Mettere ordine dentro e fuori dal campo. Così la top 50 possibile per Travaglia. E occhio al giovane Meduri.”
Non c’è un solo addetto ai lavori che non parli bene di Simone Vagnozzi. Anche a me è arrivata all’orecchio la cosa che lui si informa, studia, sbircia, ruba con gli occhi, e pensa 365 gg h24 al tennis. Credo possa diventare molto bravo uno dei migliori al mondo. Mi associo ai fan di scudetto: con l’Ascoli (ho vissuto a Monticelli per 1 anno e il Maggioni a SBT (San Benedetto del Tronto) era casa mia, e tifo Porta Maggiore che è il Sestiere con meno titoli) sono arrivato ai massimi traguardi continentali. In Ascoli ho vissuto momento bellissimi e ho anche conosciuto la mitica Simonetta Bozzano, mamma di Steto, che davvero è una bomba, potenzialmente ancora più forte del figlio! Su Steto secondo me andrebbe scritta una vera storia, è uno dei ragazzi che più avrebbe da raccontare nel circuito, proprio per i suoi trascorsi, le sue difficoltà esistenziali ad un certo punto della carriera, sul rapporto genitori/figli, i problemi incontrati che sono stati tanti per emergere. Insomma ci ha messo tanto ma finalmente c’è riuscito. C’è stato un momento in cui ho avuto paura si perdesse, è stato davvero bravo a tirarsi su. La città di Ascoli è un luogo unico: si vive bene, c’è anche agiatezza economica, ma è rimasto un mondo molto tranquillo, così lontano come abitudini dalle metropoli, ma anche così vicino a Roma geograficamente. C’ha il mare vicino e la montagna altrettanto, c’è una mentalità artistica che aiuta la fantasia e l’estro ma anche una cultura legata all’etica del lavoro sulla base anni 60 “scarpe grosse cervello fino” che ha prodotto tutta lo sviluppo della filiera alimentare e poi il distretto manifatturiero. In questo contesto Ascoli è la provincia perfetta, con un clima meno buono di Palermo per dire, ma con una maggiore riservatezza per crescere un po’ nell’ombra. Non è un caso che Ascoli, sotto la guida di allenatori come Renna e Mazzone e con Costantino Rozzi (che in ogni bar di Ascoli ha una sua foto) e anche la SAMB quando era capitano Cagni, abbiano sfornato campioni e siano saliti così in alto nel calcio così come nel tennis con personaggi come anche Narducci e Simonetta Bozzano appunto, oltre che i due sopracitati.
Intervista a Simone Vagnozzi, 161 ATP nel 2011, di Luca Fiorino
La vita in quarantena
“Mi sto godendo il tempo in famiglia che con il nostro lavoro è sempre difficile. Sto approfondendo lo spagnolo, lo parlo benino, poi mia moglie è peruviana e provo a perfezionarlo, così come faccio con l’inglese.”
Una carriera da coach già di alto profilo in poco tempo
“Sono stato premiato come miglior coach italiano nel 2018, è vero, e top five a livello mondiale in quell’anno. Quando ho cominciato a fare il coach il mio obiettivo era proprio far meglio rispetto a quanto avevo fatto da giocatore. E al momento sinceramente come allenatore sta funzionando.”
La vittoria più bella con Monaco a Barcellona
“Sì sicuramente. Lui in quel momento era ai massimi livelli mondiali e anche io sono stato alla pari di quel livello magnifico. In quella partita e in tutto il torneo.”
Simone Vagnozzi Tennis Team: progetto e sviluppi
“E’ iniziato lo scorso anno: una collaborazione con Il tennis club Maggioni, dove si gioca il Challenger a luglio ed è un posto bellissimo. Pian piano col presidente del circolo abbiamo deciso di migliorare ancora il team, dove c’erano Stefano Travaglia e Andrea Meduri, un ragazzo di 15 anni, campione italiano under 14. Quando sono qui io faccio la supervisione dell’intera agonistica, in collaborazione con i Maestri che c’erano già e sono di ottima esperienza. La mission della Accademia è quella di aiutare i ragazzi che ci sono, soprattutto marchigiani, a crescere riuscendo a restare vicino casa in una struttura di eccellenza anche come preparazione. Io a 16 anni mi trasferii e andai a Caldaro, lo stesso Giorgini era andato a Roma da Zugarelli, Travaglia era andato via, Quinzi è andato via. Tanti sono i tennisti marchigiani che sono dovuti emigrare per coltivare il sogno di diventare un campione. Quindi l’idea era proprio di creare una istituzione/struttura che diventasse un punto di riferimento per i tennisti marchigiani.”
Un giovane di belle speranze: Andrea Meduri
“Vinse l’under 10 al Lemon Bowl nel 2015, ed è un ragazzo molto simpatico e molto umile, e infatti mi è piaciuto subito. E’ un ragazzo disponibilissimo, molto intelligente, sta volentieri in campo a lavorare. E’ da dicembre che abbiamo iniziato questo lavoro. Quando io sono in giro con Stefano, Andrea lavora con gli altri tecnici della Accademia. Quello che sorprende di Andrea è la sua maturità. Quando abbiamo fatto la preparazione lui è rimasto con noi ad Alicante un mese, in casa con me e mia moglie e ci siamo stupiti di quanto fosse maturo, certo non sembrava un ragazzo di soli 14 anni.”
Nutrita schiera di coach italiani emergenti
“Sì, e questo è un grande vantaggio per i nostri giovani. Flavio Cipolla, Francesco Aldi, Adriano Albanesi, Vincenzo Santopadre sono eccellenze italiane.”
Tre qualità che deve possedere un coach
“Calma, perché per avere risultai ci vuole tempo; intuizione per capire subito il ragazzo e portarlo a vincere le partite; empatia, perché ci sei in contatto 365 giorni l’anno ed è importante instaurare un rapporto di fiducia.”
Sogno nel cassetto del Coach Simone Vagnozzi
“Ho sempre pensato che quando come coach italiano vieni assoldato da un tennista straniero di alto livello, beh, quello vuol dire che hai raggiunto un traguardo importante per l’appeal internazionale.”
Il sodalizio con Stefano Travaglia
“Per il momento stiamo andando molto bene, sono molto positivo per il futuro perché vedo che Stefano si sta allenando davvero con tanta energia e quindi non posso che essere fiducioso.”
Il rapporto legato anche alla terra
“Il fatto di essere della stessa città ci dà un vantaggio, più pratico che legato al rapporto: quando entrambi siamo a casa con le nostre famiglie, abbiamo comunque facilità a continuare a lavorare visto che siamo vicini. Al contrario di altri team che soffrono le difficoltà della distanza tra i componenti, e non possono allenarsi insieme sempre, noi praticamente lavoriamo assieme 50 settimane l’anno.”
La partita contro Auger Aliassime di Travaglia
“Alla fine del match ero molto contento di come Stefano avesse gestito la partita: nonostante avesse perso il secondo set avendo tantissime occasioni, nel terzo set la sua intensità agonistica è stata molto alta, e questi sono segnali importanti. Anche nel terzo set ha avuto qualche palla break, insomma l’ha giocata. I due match point che ha avuto li ha giocati abbastanza bene. Solo il punto del 6 pari mi ha lasciato un po’ perplesso, perché è uscito con un rovescio lungolinea che non c’entrava nulla subito dopo il servizio e così ha dato la possibilità di chiudere col suo servizio all’avversario. Ma quello è stato l’unico punto in cui l’emozione l’ha portato ad uscire dallo scambio prematuramente. Nel primo match point ha sbagliato un passante complicato, e nel secondo match point Stefano è stato sorpreso da un colpo di Aliassime che ha steccato e può succedere. Insomma ci sono molte cose positive di quel match che vanno prese, due ore e mezza di partita sempre ad alto livello: Aliassime veniva da finale di un torneo, insomma un osso duro.”
Il lavoro in off season con Stefano Travaglia
“Ad Alicante abbiamo lavorato molto sul diritto, per fare più male col questo colpo: credo che i progressi si siano visti anche già all’inizio di questa stagione, contro Fritz e anche contro lo stesso Aliassime, tanto che da fondo campo era molto più aggressivo Stefano rispetto al canadese con questo fondamentale. Poi abbiam lavorato sulla percentuale di prime di servizio. Abbiamo fatto dei passi in avanti ma possiamo ancora migliorare: ci sono state partite in cui siamo arrivarti al 65% di prime, sempre tirate per fare ace o comunque forzate. Però lo scorso anno in diverse occasioni era poco sopra il 40% per cui siamo felici. Già l’anno scorso avevamo implementato il rovescio col quale adesso si districa meglio e ovviamente anche in questa stagione ci lavoriamo e ci lavoreremo. Del resto non ci si può focalizzare solo su un colpo nel corso di una preparazione, ma si lavora su tutto. Direi che dalla parte del rovescio è migliorato molto riguardo all’ordine che ha messo nel suo gioco: tempo addietro spesso lo giocava lungolinea per evitare di rimanere sulla diagonale del rovescio, ed era un fatto anche di sicurezza. Adesso è e si sente solido anche sulla diagonale di rovescio a va in lungolinea quando davvero serve e ha la pazienza di aspettare il momento giusto.”
Cosa è mancato a Simone Vagnozzi per arrivare nei 100?
“Forse un po’ di cattiveria e avere chiaro l’obiettivo. Ho fatto degli errori durante la mia carriera di giocatore, ma con il senno di poi è molto più facile. Probabilmente comunque potevo far meglio.”
Il Simone Vagnozzi allenatore dove sarebbe intervenuto per far migliorare il Simone Vagnozzi giocatore?
“Sarei intervenuto moltissimo sull’ordine fuori dal campo. Mi sarei stato più addosso. Ai tempi nostri non avevamo sempre il coach dietro perché i prize money erano più bassi. Ora il fatto di avere un team consente ai ragazzi di seguire una retta via.”
Le qualità del leader e il ruolo del mental coach
“Penso che sia un aspetto molto importante per un allenatore; certo che le motivazioni devono essere alte nel giocatore in primis, ma l’allenatore può tirar fuori aspetti della personalità dell’atleta che poi possono essere utili alla sua crescita. Tempo fa sono stato criticato perché ho detto che non mi servivo di un mental coach per l’allenamento dei miei allievi. Ciò che io credo davvero, e ci tengo a spiegarlo meglio, è che laddove non si ciano problematica particolari, il lavoro di mental coach possa essere anche fatto dal coach stesso, se ha empatia e conoscenza del giocatore. Nella mia carriera di giocatore son stato tanti anni con Sartori impostava il lavoro così come faccio io, probabilmente ne sono stato influenzato.”
Assimilare gli insegnamenti e i concetti degli allenatori passati
“Ho tratto molti insegnamenti dai miei allenatori, un po’ da ciascuno di quelli che ho avuto, e non sono sazio di imparare. Ogni volta che vedo Perlas lo tempesto di domande: e lui è sempre gentilissimo con me. Studiare, vedere cosa fanno gli altri, e questo è fondamentale.”
Le esperienze a Football Manager
“Ero malato di “scudetto”. Partivo von l’Ascoli e lo portavo alla gloria.”
Il motivo della separazione con Marco Cecchinato
“Lui era 180 del mondo, ma era già stato in top 100, quindi il livello ce l’aveva per salire. L’ho portato al numero 16 e sinceramente nessuno di noi si aspettava di arrivare così in alto. Come dicevamo prima il rapporto coach/giocatore è qualcosa di molto importante quanto complesso. Noi in due anni siamo stato 70 settimane insieme, e sono tante. E bada bene: il coach è colui che deve dire al giocatore le cose che secondo lui non vanno bene, ma il giocatore è quello che paga. In questo è differente dagli allenatori in sport di squadra. Nel calcio se sei un allenatore e un giocatore non segue certi dettami puoi “farlo fuori”. Nel tennis no, sennò perdi il lavoro. Con Marco dopo due anni e mezzo si venivano a creare certe crepe nel rapporto, più fuori dal campo che dentro. Perché a livello di tennis e allenamenti le cose stavano andando bene: nel momento in cui ci siamo lasciati Marco era comunque 35 del mondo. Semplicemente io dalla mia parte vedevo che quello che io cercavo di fare non aveva più lo stesso impatto che aveva prima. Ne abbiamo parlato e tranquillamente abbiamo deciso di concludere la collaborazione.”
La scelta del Ceck con un ritorno al passato: Sartori
“Max è un allenatore di esperienza, e Marco è un giocatore forte e di spessore. Quindi sono sicuro che tornerà in alto. Tra l’altro Sartori lo conosce molto bene perché Cecchinato a 17 anni era su a Caldaro. Il 2018 per Marco è stato un anno bellissimo ma non è stato un anno facile, perché gli è cambiata la vita dopo i suoi incredibili risultati. Ha dovuto gestire emotivamente questi successi. Ora che ha metabolizzato tutto può essere pronto per ripartire al massimo. Lui ha tenuto un livello altissimo per molto tempo, in particolare sulla terra. Non è stata una meteora, questo intendo. A Buenos Aires, un torneo difficilissimo da vincere, dove ci sono tanti specialisti forti, ha mostrato un tennis davvero formidabile, dominando il torneo.”
Fin dove potrà spingersi Travaglia? Quali erano gli obiettivi a inizio 2020?
“Il primo obiettivo che ci eravamo posti era rimanere più o meno in quella sacca di ranking tra il 70-80 del mondo, attraverso i tornei ATP. Poi naturalmente la voglia di arrivare tra i primi 50 c’è, e il livello crediamo già l’abbia. Stefano gioca bene su tutte le superfici. Su quelle veloci ad alto livello possono dargli qualcosa di più, ma anche su terra può togliersi tranquillamente soddisfazioni.”
Il primo contatto con Stefano e la nascita della collaborazione
“Siamo della stessa città, io lavoravo in Ascoli e avevamo conoscenze comuni. Lui si allenava a Foligno, ed era in un momento in cui desiderava cambiare. Dopo Wimbledon è venuto a provare da noi. Io in quel momento ancora allenavo Marco, quindi si è dovuto anche adattare e io dovevo un po’ dividermi. Per questo abbiamo anche preso Uros Vico come Coach a darci una mano. E infatti Uros l’ha seguito diverse settimane, poi quando io mi sono diviso da Cecchinato, mi sono buttato a capofitto su di lui.”
Chi alleneresti tra i giocatori dall’11 alla 20esima posizione per l’ingresso in top 10
“Aliassime a me ha fatto davvero una grande impressione, visto a Marsiglia. Come atteggiamento mi sembra davvero avanti. Anche in difficoltà non ha perso la testa, e mi sembra che abbia grande voglia di arrivare. Shapovalov può avere qualcosa in più a livello di talento tennistico, ha molta destrezza, però pur avendo tante armi, sta facendo fatica a metter ordine nel suo gioco. Tuttavia è numero 16 del mondo, tanto male non credo stia facendo, no?”
Travaglia al centro del progetto
“Sicuramente stare al 100% su un giocatore è stato fondamentale, perchè del resto più tempo alleni un giocatore, più riesci a dargli. Stefano è un tennista umorale, e per lui è importante sentir la fiducia e quindi sentirsi al centro del progetto è stato importante per lui. Già con Uros Vico aveva iniziato un ottimo lavoro, con la mia supervisione e con il preparatore atletico aveva lavorato molto bene. Stefano era spesso soggetto ad infortuni, e invece lo scorso anno, a parte qualche settimana, è sempre stato bene. Il lavoro è stato fatto a 360 gradi, lavorando bene sui dettagli. Stefano è cresciuto molto sull’ordine anche fuori dal campo. Lui era abituato a fare un po’ di testa sua nelle cose, come ad esempio nella programmazione ma anche in altre situazioni. Ora le scelte fuori dal campo non sono più affidate all’estro del momento, a situazioni contingenti, ma è tutto curato al dettaglio, studiato il più possibile. In questo modo riesce a mantenersi in ottima forma sul piano fisico, e questo l’aiuta a trovare determinati risultati. Lui adesso sente di avere uno staff tutto per sé, come i grandissimi giocatori. Il tennista dovrebbe occuparsi solo di giocare a tennis, ovviamente in gara e in allenamento, e non disperdere energie con altre situazioni: tutto il resto dovrebbe essere svolto dal team. Noi cerchiamo di curargli tutti i particolari, come ad esempio l’organizzazione delle gare a squadre, sia l’organizzazione degli sponsor, la scelta e la logistica dei tornei, gestire i viaggi.”
Chi dei giovanissimi ti piacerebbe allenare? Chi vedi fra i più futuribili?
“Mi tengo volentieri Meduri, che ha 15 anni e credo possa diventare forte. Oltre a Stefano ovvio.”
Cosa pensi sia cambiato nel movimento italiano?
“Ci sono tante cose che hanno aiutato. Innanzitutto il fatto che in Italia ci siano tanti tornei, tanti Futures, tanti Challenger e questo comporta anche che molti azzurri possano giocare senza spendere troppi soldi e quindi fare esperienza. Ciò crea una base ampia da cui poi possono esplodere in qualsiasi momento i talenti più fulgidi. Poi ci sono quei giocatori che hanno trainato gli altri a crederci, come Lorenzi, Cecchinato. La semifinale al Roland Garros di Marco Cecchinato ad esempio ha sicuramente aiutato Matteo Berrettini a crederci, ma anche ha aiutato Sonego, e così via. Poi questi che ho nominato aiutano gli altri un po’ sotto e si innesta un circuito virtuoso. Un ultimo fattore, ma non meno importante, è l’ingresso sulla scena italiana di molti coach giovani, ex giocatori, preparati, pieni di entusiasmo che portano idee ed energie. Fino a qualche anno fa i giocatori alla fine della carriera si fermavano in un circolo dove facevano i Maestri, mentre adesso c’è più la tendenza a mettere la propria esperienza al servizio di tennisti agonisti di alta performance. Io ricordo che quando giocavo si faticava a trovare allenatori per noi professionisti, ce ne erano pochi, e tra questi pochi volevano viaggiare e seguirti a tempo pieno. Il fatto che, almeno ad un certo livello, i prize money sono aumentati ha permesso anche ai giocatori di prendere a tempo pieno e pagare i coach, potendo investire qualche cosa di più sulla loro crescita.”
Si torna a giocare a luglio?
“Metterei la firma per tornare a settembre. Spero che in Italia si trovi la soluzione per tornare a giocare almeno un po’ prima per poter fare match che portino i ragazzi ad essere pronti quando l’attività internazionale riprenderà.”
Alessandro Zijno