Claudio Ceccarelli, la Fisioterapia di altissima performance al servizio del Tennis: da Raonic agli azzurri Giannessi, Donati e Napolitano
La nascita del Progetto Physioterapy Tennis Lab avviene grazie all’integrazione di diverse figure professionali ed alle loro personali esperienze, che hanno fatto sì che potesse essere messo su campo un Team di specialisti dedicato al TENNIS. Team che ha come Mission la ricerca della qualità del lavoro e la focalizzazione dell’attenzione sul singolo atleta.
L’esperienza decennale, anche a livelli professionistici, del nostro Team ci ha permesso di sviluppare una metodologia di lavoro codificata e ben strutturata, in stretta collaborazione ed interazione con la parte tecnica.
Tutto parte da un’attenta analisi e valutazione del singolo atleta e dalle sue esigenze agonistiche. Successivamente viene iniziato il lavoro di insegnamento di tutte le routine individuali necessarie al tennista per poter colmare eventuali lacune e deficit emersi precedentemente.
La nostra priorità è senza dubbio quella di rendere il percorso di sviluppo fisico del giovane tennista il più armonioso possibile, ponendo tutta l’attenzione su quelle che sono le problematiche che tale sport potrebbe far emergere.
Claudio Ceccarelli, socio titolare di un centro di Fisioterapia a Massa (Physiotherapy) dove qualche mese fa è nato il progetto Physiotherapy Tennis Lab che mette al servizio dell’atleta in maniera globale una serie di professionalità: “Possiamo seguire l’atleta a 360 gradi, sia in termini di prevenzione che di allenamento atletico. Il preparatore atletico di riferimento è Damiano Fiorucci, il preparatore atletico di Sonego che rientra infatti nel novero dei tennisti seguiti da noi durante i vari tornei.”
Ciao Claudio, quando hai pensato/deciso di diventare fisioterapista? Mi racconti i tuoi inizi?
“Ho sempre fatto sport, calcio, mi infortunavo abbastanza spesso e mi sono interessato all’aspetto riabilitativo. E così la figura del fisioterapista era diventata importante per me anche da ragazzino. Così, dopo le superiori, ho cominciato a studiare questa meravigliosa e ampia materia, mi sono laureato nel 2013, poi sono partito subito per la Spagna per un master in terapia manuale ortopedica, ne ho fatto un altro a Roma, e da qui è partita la mia carriera parallela di docenza universitaria. In particolare mi occupo del gomito, una delle articolazioni più sollecitate nel tennis, abbastanza soggetta ad infortuni in ambito tennistico e faccio parte di un gruppo di ricerca scientifico di nome “Gerico”, che approfondisce proprio le tematiche del gomito. Stiamo studiando nuove modalità di approccio alle problematiche del gomito. Inoltre sono docente a contratto al master universitario di I livello in Fisioterapia sportiva dell’Università degli Studi di Pisa dove mi occupo di esercizio terapeutico.”
E come è stato il tuo percorso? Già appassionato di tennis?
“Io nasco fisioterapista di calcio, già nel secondo anno di università andavo a seguire una squadra dilettantistica, circa due volte a settimana. Cominciavo a mettere mano e far pratica. Quando mi sono laureato e sono tornato dalla Spagna sono entrato nel mondo PRO del calcio con la Carrarese e poi un anno di Fiorentina dove ho fatto recupero infortuni. Dal 2015 ho conosciuto Riccardo Piatti e il mio collega Claudio Zimaglia, che seguivano Milos Raonic: così siamo andati a Rotterdam e poi Marsiglia al seguito di Milos Raonic con Claudio Zimaglia. Poiché penso che chi tratta un determinato sport lo debba conoscere a fondo, ho cominciato anche a giocare e quindi ad appassionarmi: era così importante conoscere per me da dentro, dall’ottica del giocatore, il tennis che ho cominciato anche a prendere lezioni di tennis col Maestro. Volevo conoscere la biomeccanica, i vari gesti tecnici, le regole.”
Mi è capitato di incontrarti durante i tornei, come è la vita del fisioterapista itinerante al seguito del giocatore? Mi racconti una settimana tipo durante il torneo?
“Sì Alessandro con te ci siamo visti per la prima volta a Barletta, in quella occasione seguivo Alessandro Giannessi, col quale collaboro tuttora. Lui è de La Spezia, e quindi siamo ad una ventina di chilometri, il che rende agevole poterlo trattare. Durante i tornei i tempi sono abbastanza scanditi: tendenzialmente il mio modus operandi è quello di lavorare al mattino, un’oretta dopo colazione, dove mi occupo della prevenzione, mobilizzazione articolare, mobilizzazione fasciale, varie tecniche di pompage articolare e di mobilizzazioni con movimento per poi concentrami sulle problematiche specifiche e personali dell’atleta. C’è chi ha qualche problematica di rotazione di spalla, chi qualcosa alla caviglia o all’anca e così via. Un’altra ora poi la faccio dopo l’attività, che ovviamente può essere la partita o l’allenamento, tendenzialmente prima di cena. Poi chiaramente se la partita è di sera si può lavorare anche dopo la mezzanotte. Durante la giornata poi accompagno l’atleta in campo, approfitto per osservarlo, valutare i vari gesti, capire se quel compartimento sta dando delle problematiche, quali sono le strutture che possono soffrire di più o di meno, e in base a questo consigliare come impostare anche del lavoro fisico specifico.”
Nel lavoro in team con chi ti relazioni? E che complicazioni ci sono?
“Sì, nel tennis varie figure uniscono le proprie energie: c’è il coach, c’è il preparatore fisico, c’è il fisioterapista, il mental coach, il nutrizionista e quant’altro. In genere io parlo col coach ma ancora di più col preparatore fisico: ci confrontiamo per valutare il percorso riabilitativo se ci sono problematiche specifiche, un infortunio o un post-infortunio da gestire. Così si può concordare un piano di lavoro. In questo periodo che sto trattando dei post-infortuni con Matteo Donati e Stefano Napolitano qua a Massa, parlo spesso col preparatore Stefano Ramponi, con Dalibor Sirola e col team di Tirrenia a cominciare da Umberto Rianna passando per Mosè Navarra. Detto i tempi per l’inserimento di un determinato gesto tecnico, o di un determinato tipo di lavoro fisico: nello sport è fondamentale che ci sia questo modello di sinergia, essere collegati ed interconessi. Finora complicazioni a lavorare in team non ne ho mai avute, ho sempre lavorato in gruppi molto professionali con i quali parliamo la stessa lingua e quindi seguiamo una linea comune concordata con l’atleta.”
La tua professione è molto impegnativa e porta via moltissimo tempo ed energie, poi sei anche fuori per diverse settimane, come si concilia la famiglia o gli affetti/relazioni?
“La mia professione è molto impegnativa in generale, perché prevede prima un aspetto di valutazione anamnestica, di esame fisico, di ipotesi diagnostiche ed infine di diagnosi fisioterapica, il lavoro ambulatoriale: sono 12 ore al giorno di impegno in ambulatorio. In più mi aggiorno costantemente, frequento l’Università sia come studente che come docente. Sto approfittando di questo periodo particolare in cui siamo chiusi in casa per stare di più in famiglia.”
Come è evoluta la fisioterapia in questi anni?
“In questi anni la fisioterapia si è evoluta molto, in Italia ci sono moltissimi bravi colleghi, specializzati in terapia manuale ortopedica che è la branca di eccellenza in ambito internazionale. Penso che il fisioterapista moderno non possa prescindere dall’aver fatto un Master di Specializzazione in terapia manuale ortopedica, perché è quello che poi ti dà le basi reali per diventare un “fisio” con la F maiuscola. Avere le basi per valutare, per fare la diagnosi, la prognosi, di trattamento del paziente, in maniera completa e ottimale. Per poi cercare di mettere dei tasselli di iper specializzazione: questo è un altro aspetto fondamentale. Così come in ambito ortopedico, anche in quello fisioterapico la specializzazione è determinante: io non posso conoscere l’anca o la caviglia come posso invece conoscere il gomito che è il mio argomento. La tuttologia non esiste e non deve esistere. Io non andrei mai da un ortopedico che “fa tutto”, tanto meno la tuttologia è non è consigliabile in fisioterapia.”
Qual è il Paese più evoluto in campo riabilitativo?
“In Italia siamo messi molto bene. Abbiamo 4 o 5 centri di Master universitari di primo livello, quindi ci facciamo valere e la nostra competenza è riconosciuta anche all’estero. Australia e Stati Uniti sono anche loro molto forti, ma a vedere dalle ultime pubblicazioni scientifiche, da quanta ricerca viene fatta da colleghi italiani, possiamo dire di essere una elite mondiale.”
Giocatori, un profilo dall’ottica del fisioterapista dei tennisti che hai curato o anche altri sportivi), esempi di problematiche che hai sistemato.
Milos Raonic
“La prima esperienza è stata per me, come dicevo prima, Milos Raonic. Una avventura rapida ma molto formativa. Milos mi ha impressionato per la sua dedizione al lavoro, per la sua concentrazione, perché vedevo un atleta che era top 4 al mondo e che non voleva mai finire l’allenamento prima di quello che si era prefissato; mi ha colpito quanto fosse meticoloso nel fare fisioterapia, nel seguire un certo tipo di alimentazione, o concentrarsi sulla videoanalisi con Danilo Pizzorno. Per me è stato poi importante poter ammirare da dentro come lavorava Claudio Zimaglia che aveva molta più esperienza in ambito tennistico. E’ stato illuminante per comprendere i ritmi di lavoro in albergo, in campo, e quant’altro io non conoscessi. Io non posso che dirgli grazie.”
Alessandro Giannessi
“Giannessi lo consociamo tutti, è un personaggio estroverso, ci prendiamo sempre in giro, molto simpatico dalle potenzialità enormi che può ottenere di più sul piano del ranking e dei successi sportivi rispetto a quello che ha ottenuto finora. Ormai è tanti anni che lo seguo, ci frequentiamo a volte anche in ambito extratennistico. Ha avuto ogni tanto qualche problema all’anca e in sintonia col suo preparatore atletico Marco Panichi e con Flavio Cipolla che dovrebbe essere il suo coach in questo momento, qualche tempo fa ci siamo concentrati sul sistemare una tendinopatia achillea. Con lui ci sarebbero tantissimi aneddoti: una volta, mi pare fosse il 2016, aveva una problematica al tendine rotuleo e gli dissi di non farsi accorgere da nessuno. Lui mi rispose di sì, poi dopo 5 minuti in campo si voltava verso di me per dirmi che aveva dolore. Io lì per lì mi arrabbiai perché ne avevamo parlato 5 minuti prima, però vinse la partita, poi arrivò fino ai quarti e quindi alla fine andò bene così. Sono felice di far parte della sua crescita, nel 2017 ebbe il suo best ranking (84 ATP) ed era seguito da me per cui questo mi rende orgoglioso. Penso possa tornare come minimo a quei livelli.”
Gonzalo Lama
“Sempre nel 2016 e nel 2017 ho girato qualche torneo col gruppo cileno di Waly Grovero in cui c’era Gonzalo Lama, e tutto il gruppo dei ragazzi sudamericani si allenava con durezza perché Grovero era un allenatore molto tosto. Anche subito dopo la partita lavoravano al cesto con 30 gradi, e erano molto meticolosi.”
Andy Golubev e Oleksandr Nedovjesov
“Golubev è un ragazzo eclettico, molto divertente, quando è in Italia ci sentiamo mentre Nedovjesov è molto più chiuso, introverso. Con lui abbiamo fatto una semifinale a Lione, quando perse col canadese Aliassime. Golubev doti tecniche clamorose, seguite un po’ meno dall’aspetto mentale, con una classe sopra la media. E’ stato top 30 e avrebbe potuto stare lì molto più tempo.”
Matteo Donati e Stefano Napolitano
“In ambito ambulatoriale sto seguendo Matteo Donati, che avevo già conosciuto lo scorso anno per essere venuto a fare dei test atletici da noi insieme al suo preparatore Damiano Fiorucci. Da lì ci siamo conosciuti e quando ha avuto un problema di gomito di cui io non conoscevo la storia, è venuto un giorno da me raccontandomi di un dolore al gomito abbastanza particolare che mi portò alla diagnostica attraverso risonanza ed ecografia. La diagnosi fu una lesione del collaterale mediale del gomito destro. Però doveva partire per il Roland Garros e andò. Purtroppo a Parigi finì che il dolore si acutizzò e dovette tornare indietro. Poi la scelta di operarsi e abbiamo fatto qui tutto l’aspetto riabilitativo. Ora però purtroppo si dovrà rioperare e lo farà a Milano da Paolo Arrigoni. Poi tornerà da me qui a Massa, a fine aprile, inizio maggio. Matteo ora si deve rioperare per delle complicazioni dopo l’intervento: ci sono vari aspetti che non possiamo dire per una serie di motivi. Comunque ora Matteo avvertiva dolore non più per una causa legamentosa, ma tendinea.
Stefano Napolitano l’ho conosciuto sempre attraverso Piatti e Dalibor Sirola: lui aveva bisogno di un fisioterapista nello staff: anche lì l’ho preso con un problema al gomito che poi si è rivelato come una lesione legamentosa. Anche lui si è operato, da un professore di Milano Paolo Arrigoni, e adesso la fisioterapia sta procedendo molto bene. Nonostante siano simili gli infortuni (per un profano NDR), gli interventi sono stati fatti in maniera differente: Stefano ha fatto un intervento molto meno invasivo: ha subito un ritensionamento capsulare e legamentoso con una piccola ancoretta riassorbibile, mentre l’intervento di Matteo è stato il primo al mondo tra i tennisti con una “bandelletta” di tessuto sintetico chiamata Internal Brace, generalmente è una tecnica che viene usata sui lanciatori di baseball e perciò non è stato nemmeno facile impostare il corretto iter riabilitativo. Il post-intervento è ovviamente molto diverso: quello di Donati è stato più impegnativo per una serie di difficoltà che l’innesto di un tessuto sintetico può comportare e per il fatto che è stato sottoposto ad un intervento a cielo aperto mentre Stefano un’artroscopia. Entrambi sono due atleti professionisti e quindi molto attenti e consapevoli dell’importanza di ogni aspetto della loro vita sportiva: Stefano è più abituato a lavorare in team di un certo tipo, perché viene da Bordighera dove c’è un contesto di lavoro in gruppo da sempre. Napolitano è quasi maniacale nel lavoro, ma anche Matteo lavora con attenzione e grande applicazione, e adesso anche lui è entrato in quella dimensione di lavoro in team, anche se forse era leggermente indietro sul piano fisico: è un ragazzo serio e motivato ed è un grande professionista.”
Parentesi sulle problematiche del tennis
“Sto vedendo tante problematiche di stabilità di gomito nel circuito: probabilmente si fa meno prevenzione per il compartimento del gomito, rispetto ad anca, caviglia o spalla. E questo deve far riflettere e trovare contromisure. Ci sono state delle evoluzioni nel gioco, nell’attrezzatura (racchette) e nelle palline, e la prevenzione pare non essere andata di pari passo per quanto riguarda proprio il gomito: potrebbe essere un focus di attenzione da inserire in una agenda. Troppe le problematiche di gomito che ho osservato, in senso di macro-micro instabilità, e quindi di lesioni legamentose e problematiche strutturali. E poi le classiche problematiche di tendinopatia di spalla, problematiche di ridotta mobilità dell’anca, tendinopatie rotulee e achillee. Il tennis è uno sport che a livello tendineo richiede costanti fasi di accelerazione e decelerazione, quindi il tendine lavora costantemente in doppia fase concentrica ed eccentrica. Quindi il tendine necessita della dovuta forza, elasticità, capacità di assorbimento del carico. E così le strutture tendinee sono spesso soggette a problematiche. Poi lesioni muscolari, per esempio Giannessi ha sofferto di alcune problematiche muscolari di addome, problematiche lombari; il servizio spesso crea problematiche di questo tipo.”
La prima cosa che noti in un tennista senza conoscerlo e vedendolo giocare sempre dall’ottica del fisio
“Il servizio può dare ottime indicazioni. Guardo le varie fasi del servizio, valuto come si muove la spalla e come si muove il gomito-polso-mano. Valuto quanto la spalla va in extrarotazione e intrarotazione e quanto il gomito va in valgo, come e dove viene impattata la pallina perché comporta una maggior estensione o flessone di gomito e ciò implica differenti stress a livello legamentoso mediale, valuto come il polso si muove in queste varie fasi. Guardo anche le anche nel diritto e rovescio, e tanto la spinta degli arti inferiori per il tendine d’achille. Diciamo queste sono le macro cose attraverso le quali mi faccio una idea di quelle che potrebbero essere le problematiche future e ne parlo poi col preparatore e col coach (e si torna al concetto di prevenzione e di team NDR). Ad esempio con Donati ho analizzato il servizio e abbiamo deciso con Mosè Navarra di cambiargli il gesto tecnico per cercare di ridurre gli stress a livello del gomito anche in ottica post-intervento. Idem con Cristian Brandi e Napolitano stiamo cercando di modificare il suo servizio perché tendeva ad aprire troppo l’angolo ed anche lui aveva un eccessivo stress in valgo del compartimento mediale di gomito e quindi stiamo cercando di porre rimedio attraverso un servizio leggermente differente. Questa è una interessante interazione tra fisioterapista e direttamente il coach.”
Differenze nelle terapie e nell’approccio emotivo tra femmine e maschi
“Femmine tenniste non ne ho mai trattate, ho alcune atlete pallavoliste che seguo, Veronica Angeloni che gioca a Perugia, Diletta Sestini, Elisa Moncada, ma hanno ovviamente situazioni differenti. Un pensiero personale è che può esistere una differenza di carattere, magari lavorare col sesso femminile potrebbe essere più complesso, per situazioni legate anche alla fisiologia, o a livello ormonale che possono andare a modificare quelli che sono i fattori metabolici, e quindi anche i fattori di carico a livello tendineo. Sono ulteriori complicazioni che chi lavora con atleti donna deve conoscere e considerare.”
Un tuo collega una volta mi disse che lui lavorava moltissimo con l’effetto placebo (chiamandolo in altro modo) in particolare con gli sportivi pro. Quanto si utilizza la psicologia nel trattamento delle problematiche dei ragazzi?
“L’aspetto psicologico nel tennis è predominante e quindi ormai tutti i tennisti hanno un mental coach che li segue. L’effetto placebo deve essere usato con molta destrezza e consapevolezza, perché altrimenti si possono creare dei falsi miti negli atleti. Esempio pratico: paziente con problematica di gomito da mesi. Cronica. Operato, quindi quadro doloroso. Sensibilizzazione centrale e periferica enorme. Il mio solo aiuto dal punto di vista riabilitativo non basta. Serve anche l’aiuto mentale, emotivo, psicologico per far sì che a livello periferico e centrale venga resettata la percezione del dolore. Un conto è avere un danno strutturale, un conto è avere la percezione del danno. Il paziente può avere il dolore anche quando ormai il danno non c’è più. Purtroppo alcuni pazienti che hanno un dolore cronico, continuano a percepirlo anche se non c’è più il danno strutturale. E quindi qui c’è la sinergia tra fisioterapista e psicologo, altro esempio di team.”
Alessandro Zijno