Ruben Ramirez Hidalgo:” Alicante, la miglior location per allenarsi. Qui da noi Robredo, Pedro Sousa e due azzurri emergenti come Del Federico e Weis. Con Sousa miriamo alla top 100″
Ruben Ramirez Hidalgo è un tennista spagnolo che nel 2006 ha raggiunto il suo best ranking al numero 50 ATP. Ha vinto 3 tornei ATP, e ben 8 Challenger tutti su terra rossa. Io l’ho conosciuto a Roma nel 2016 in occasione del Challenger del Due Ponti e ne ho apprezzato la leggerezza fuori dal campo unita ad una viscerale passione per questo sport. Ha attraversato almeno 3 epoche diverse nel tennis in 25 anni di carriera internazionale come giocatore, dotato di un temperamento da combattente vero.
Intervista a Ruben Ramirez Hidalgo di Luca Fiorino
Il coronavirus in Spagna
“La situazione è senza dubbio preoccupante, ora qui in Spagna siamo nel picco, così come era qualche settimana fa in Italia. Siamo confinati anche noi, gli ospedali sono congestionati, e la situazione sta rischiando di far collassare le strutture ospedaliere e l’intero sistema. Ci sono delle regioni più infettate come Madrid, io mi trovo in una zona meno esposta al virus. La gente è preoccupata sia per la salute che per il lavoro, che ora qui è tutto fermo.”
Il lavoro con Pedro Sousa
“E’ il secondo anno che lavoriamo insieme, sto molto bene con lui e per me è una grande esperienza. Pedro è un ragazzo molto tranquillo fuori dal campo, ha molto talento e cercheremo di riconquistare la top 100: il tennis ce l’ha già, dobbiamo migliorare i dettagli.”
La finale di Buenos Aires raggiunta come lucky loser da Sousa
“Abbiamo avuto un po’ di fortuna, e avevo ricordato a Pedro che lui è un trentenne, è un ragazzo maturo con esperienza e avrebbe affrontato dei ragazzi molto giovani, che senz’altro avrebbero tremato e lasciato qualche possibilità.”
Oggi c’è più tempo per ottenere risultati dopo i 30 anni
“Quando giocavo io non era esattamente così, ora invece le carriere si sono allungate, e per questo è anche più difficile per i giovani. Ora c’è molta professionalità che si estende alla tenuta fisica con allenamenti migliori, fisioterapia migliore e anche una attenzione all’alimentazione. Finchè ti alleni bene e sei professionale, l’opportunità di svoltare può arrivare in qualsiasi momento, anche dopo i 30 anni.”
Le differenze tra il tennis del 2000 e quello odierno
“C’è una differenza sostanziale: ai miei tempi c’erano due categorie di giocatori più distinte, i terraioli e i tennisti da veloce. La demarcazione era più netta. Ed in effetti le superfici erano molto diverse, meno omologate rispetto ad oggi. Il veloce era velocissimo. C’erano tennisti che si facevano l’intera stagione sulla terra e quando incontravano qualche tennista, anche molto forte, che non era abituato a giocare su terra, vincevano il più delle volte. E il discorso valeva anche per il contrario: il terraiolo andava a giocare sul cemento con meno speranze di vincere. Oggi non è più così, la terra è più veloce e il cemento, anche indoor, è più lento. E quindi tutti i giocatori si sono abituati a giocare su tutti i campi. Oggi c’è anche un modo di giocare, dovendo generalizzare, un po’ uguale per tutti. Oggi si tirano bordate e raramente trovi qualcuno che cambia il ritmo. Si gioca a chi tira più forte, bum bum bum.”
L’accademia ad Alicante e i ragazzi italiani presenti
“Abbiamo questa accademia, con anche 3 preparatori fisici, oltre a 3 allenatori e un fisioterapista con parecchi ragazzi, anche molto forti, che si allenano. Curiamo anche l’aspetto mentale e l’allenamento è personalizzato. Non è come le altre accademie dove il lavoro è standardizzato, da noi no. Ad Alicante pensiamo un percorso “fatto a misura” per ogni ragazzo, in base alle sue esigenze, alle sue aspettative e alle sue caratteristiche. C’è il tennista più aggressivo, il più difensivo, quello più alto, quello più potente, e di ognuno di loro ci prendiamo cura e proviamo a farlo migliorare. Cerchiamo di esaltare le qualità di ciascuno. Abbiamo 5 o 6 ragazzi che sono under 12 o Under 14 che sono tra i più forti di Spagna, tra maschi e femmine. Poi abbiamo anche giocatori di Futures, 500 o 600 del mondo, il cui obiettivo è quello di salire a livello di Challenger. Abbiamo con noi Andrea Del Federico, Alexander Weis, e anche altri ragazzi italiani che stanno crescendo. Poi abbiamo un gruppo che gioca i Challenger, come Roberto Ortega.“
Tommy Robredo da dicembre con Ruben
“Tommy ha svolto la preparazione invernale qui ad Alicante, si stava allenando con noi prima dello stop: aveva avuto un problema alla gamba e proprio adesso era tornato pronto. Poi c’è stato il coronavirus ma lui non mollerà. Tommy ama il tennis, si diverte ancora a giocare e questo è il segreto di una carriera così longeva. Lui ha 37 anni, eppure sta ancora lì, è un appassionato: sa benissimo di aver perduto un po’ di potenza, un po’ di velocità ma sa allo stesso tempo che con la mentalità, con l’esperienza può venire a capo di partite con ragazzi di 20 anni più giovani. Per me è stato lo stesso, anche io ho giocato ben oltre i 38 anni, perché animato da una passione viscerale per questo sport e per la competizione. Ho fatto tanti sacrifici per questo sport, ho perso tante cose, ma nel momento che lo facevo forse nemmeno me ne rendevo conto, tanta era la spinta stessa del gioco. Nella seconda parte della mia carriera, verso la fine, ogni anno pensavo che sarebbe stato l’ultimo. Poi arrivava il momento della preparazione per quello successivo, a dicembre e avevo ancora quella voglia: di allenarmi, di faticare, di gioire e soffrire. E ripartivo con una stagione nuova. E così per diversi anni.”
Momento in cui hai capito di lasciare il tennis da giocatore
“Arriva un momento in cui ti rendi conto che non riesci proprio più a giocare il tuo tennis. Lo continui ad amare, certo, come ancora io faccio, ma il corpo ti chiede un po’ di riposo, non riesci più a competere davvero con i tuoi avversari, che magari gli anni prima hai battuto. Non è un fatto di vittorie o sconfitte, è che nel mio caso a 39 anni con tutta la buona volontà non riuscivo più davvero a trovare un tennis che mi gratificasse. Ho capito che avevo dato tutto. Non tutti possono essere il numero 1 del mondo, avevo i miei limiti e credo di aver fatto il massimo per superarli.”
Vittoria più bella della carriera
“Sono stato numero 50 ATP come best ranking, ho battuto Blake su cemento, e anche Gaudio e Coria. Ma ogni bambino spagnolo che gioca a tennis sogna di calcare i campi del Roland Garros e quindi quando ho raggiunto il quarto turno a Parigi è stato davvero un momento bellissimo. Per altro ho anche superato Ferrer, che era numero 12 del mondo nel terzo turno in quel Roland Garros: entrai in campo molto tranquillo e vinsi, quel match mi resta nel cuore.”
Il match con Federer a Montecarlo perso avanti 5-1 nel terzo set
“E’ vero, ho perso una partita mentre ero avanti 5-1 nel set decisivo ma ho perso con un campione, forse col più forte di sempre; ne persi un altro con Mario Ancic a Roma, al Master1000, ero al terzo turno ed ero avanti anche lì 5-1, e ho avuto 4 o 5 match point. Avevo battuto Safin 7-6 al terzo nel match precedente. Questo è il tennis, anche quando tutto sembra perso, puoi avere una occasione di rientrare nel match. A volte è successo in positivo, altre volte come queste, in negativo. Ma è il bello dello sport, finchè non ti stringi la mano col tuo avversari non è davvero finita.”
Troppo forti Federer, Nadal e Djokovic rispetto gli altri che inseguivano?
“Stiamo parlando di 3 mostri. Fenomeni che stanno dimostrando longevità sportiva. Non è facile per gli altri, vedremo i giovani cosa faranno ora.”
Il record di vittorie Challenger conteso con Paolo Lorenzi
“Lorenzi ha 415 vittorie in match di Challenger, mentre io 423. E Paolino sta provando a superarmi, lui è eterno. Ho giocato partite con lui che duravano 2 giorni. Ha sempre lottato come un leone, e lo stesso facevo io. Incredibili le nostre partite.”
Travaglia e Vagnozzi ad Alicante in off season
“Sono molto amico di “Vagno” (Simone Vagnozzi NDR), è venuto per molti anni a fare qui la preparazione invernale, la pretemporada, perché per altro qui ad Alicante c’è un clima perfetto per giocare a tennis, anche d’inverno perché non fa freddo. Così Vagnozzi è venuto con il suo giocatore Stefano Travaglia, così come anche Marcora è venuto in passato: c’è un bel gruppo di ragazzi, così ci si può allenare alla grande. Restare un mese qui a prepararsi, significa potersi allenare fisicamente molto bene con i nostri preparatori o anche con un programma proprio; poi poter competere con ragazzi di un livello molto alto e quindi prepararsi anche sul piano tecnico-tattico e abituarsi ai match per iniziare nel migliore dei modi la stagione. So che Stefano Travaglia si è trovato molto bene: la struttura è bellissima e la gente è accogliente. Ad Alicante stai bene come ritmo di vita, l’ambiente ti rigenera, è quello di cui hanno bisogno tanti tennisti durante la preparazione.”
Un parere su Sinner, Musetti e Carlos Alcaraz Garfia
“Sono giocatori che ho potuto ammirare lo scorso anno e hanno grandi prospettive. Lo scorso anno a Perugia accompagnando Sousa abbiamo giocato con Musetti; con Sinner lo stesso a Umag, e poi Alcaraz Garfia è venuto qui ad Alicante in occasione del Challenger. Tre giocatori molto diversi tra loro accomunati però da un progetto vincente, una mentalità giusta per sfondare e tanti buoni colpi. Dovranno lavorare molto ovviamente, ma sono sicuro che saranno tennisti che si faranno onore a livello ATP.”
Quanto ti manca il tennis giocato
“Il tennis giocato è acqua passata. Ora alleno Sousa che è un giocatore particolare perché ha un talento eccezionale, gli riescono facili movimenti molto complessi. Ma anche allenare altri ragazzi mi piace e mi dà soddisfazione.”
Ti diverti più da coach o quando eri in campo?
“Mi divertivo più giocando, allenare è molto diverso: oggi soffro di più da fuori, sicuramente sono più nervoso. Quando giocavo entravo in campo e vincessi o perdessi, sempre correvo e sempre mettevo il massimo. Uscivo dal campo e stop, dopo 2 minuti ero sereno e tranquillo. Ora lo vivo da fuori del campo, con la stessa passione, la stessa grinta ma ovviamente non posso certo giocare al posto del mio giocatore. Ciò che posso fare è guardare da fuori, cercare di capire qualcosa del mio giocatore e provare a infondergli durante il match sicurezza e grinta.”
L’aneddoto della manica attorcigliata
“E’ qualcosa che iniziò molti anni fa. Da ragazzino ovviamente era mio padre che mi comprava tutto l’occorrente per giocare. Poi a 21 anni firmai il mio primo contratto di sponsorizzazione, con Reebok. Quando arrivò per posta il materiale inviato da Reebok ero al settimo cielo, l’avevo aspettato per tanto tempo. Ma quando ho aperto il pacco mi sono accorto che molte cose mi andavano grandi, avevano sbagliato la misura. Così la maglietta mi andava larga e la manica mi dava fastidio nel colpire la palla. Ho pensato allora di arrotolarla e da allora ho tenuto questa abitudine, un mio piccolo vezzo. Mi piaceva giocare così, avevo sensazioni positive e ho tenuto attorcigliata la manica destra per tutta la carriera.”
Sogno nel cassetto da coach
“Intanto posso dirti che attraverso il coaching posso continuare la mia passione, la mia vita che è da sempre legata al tennis. Sono stato un ottimo giocatore, e mi piacerebbe come allenatore essere ancora più bravo, eccellere. Essere migliore ancora come allenatore. E poi mi piacerebbe aiutare i ragazzi che alleno a sviluppare il loro potenziale, portandoli al loro massimo sviluppo possibile, in modo che non avranno rimpianti. Far capire ai ragazzi l’importanza dell’allenamento, far capire che ci sono tante rinunce da fare, godersi i momenti. Aiutarli nella costruzione e nell’andamento della loro vita, perché questo è uno sport in cui la famiglia che crei ti deve appoggiare, in cui la famiglia di origine deve supportarti ma non metterti troppa pressione. Insomma mettere la mia esperienza e la mia energia al servizio degli atleti che lo vorranno.”
Alessandro Zijno