Raul Brancaccio, ritorno in Italia dopo 6 anni in Spagna. Il suo entusiasmo, il suo circolo, con la “regia” Federale del progetto di Umberto Rianna possono fare miracoli
Non ho mai parlato con Raul Brancaccio, l’ho visto da vivo in due occasioni a distanza di due anni e mi è sembrato molto migliorato tecnicamente e anche maturato fisicamente. Mi ha sorpreso molto in questa intervista perché ha mantenuto un profilo molto naturale, è sembrato per nulla artefatto e mi ha trasmesso entusiasmo. Il modo di parlare, di porsi, anche i concetti ma soprattutto l’atteggiamento mi hanno dato l’idea di un ragazzo che davvero ha ancora entusiasmo “ragazzino”. Quel tipo di energia data dal gusto di giocare, dal piacere della sorpresa di affrontare giocatori che ha visto in tv. Un ragazzo ancora non “tritato” dalla pressione. Pressione che gli auguro di sperimentare, perché significherà che è andato avanti. La “regia” firmata Umberto Rianna è una garanzia. Umberto, pur nella grande umanità che gli si riconosce, non si espone se non percepisce vibrazioni positive o “talento” spaziale nei ragazzi. (Alessandro Zijno)
Raul Brancaccio intervistato da Alessandro Nizegorodcew per Sportface.it
Ospite il classe 1997 campano Raul Brancaccio, oggi numero 383 Atp. Raul ha raccontato la sua ancora giovane carriera tra Javea, dove si è allenato per anni nell’Accademia di David Ferrer, e il ritorno a Torre del Greco. Tanti gli aneddoti interessanti e divertenti su Ferrer, vero e proprio mentore (nonché amico) di Raul
Le tue sensazioni sullo stop forzato
“La situazione è abbastanza grave, l’annullamento di Wimbedon è il simbolo di un momento drammatico per lo sport e il tennis in particolare.”
Tu sei rientrato a casa da poco dopo tanto tempo in Spagna all’Accademia di Ferrer
“Beh, almeno mi faccio la quarantena a casa a Napoli con mio padre e mia sorella. Mentre mia madre vive in Spagna così come mio fratello che studia a Valencia. Comunque sono tornato qui ad allenarmi nel mio ambiente, ringrazio la Federazione e Umberto Rianna in particolare che è sempre disponibile perché mi hanno aiutato e mi sono vicini.”
Piccola cronistoria della tua carriera, sei un classe 97 che inizia a Torre del Greco, dove adesso sei tornato passando per la Spagna
“Fin da bambino amavo tutti gli sport, tennis, nuoto e giocavo a calcio. Non avevo idea che un giorno sarei diventato un tennista professionista. Avevamo poi una casa in Spagna, a Javea, perché mia mamma è spagnola e guarda caso Ferrer è propri di quelle parti. Quindi io facevo tennis 3 volte a settimana a casa qui, poi andavo 3 mesi lì in Spagna per le vacanze estive, e andavo al circolo lì in Spagna per giocare anche lì. Però ero più scarsino degli altri, perché non giocavo con continuità rispetto a molti. Poi non avevo mai viaggiato per tornei, pensa che avevo fatto solo un torneo Tennis Europe. Un giorno, avevo forse 15 anni, passò ai campi David Ferrer che vide me e mia sorella che giocavamo e disse che ero bravino. Insomma si interessò a me. I Ferrer stavano creando questa Accademia, che ancora non è come oggi, era un semplice circolo di tennis, credo fosse il 2013 e parlarono con i miei genitori: avevano 4 borse di studio, 2 spettavano a me e mia sorella se noi avessimo accettato. E così agosto 2013 decidemmo io e mia sorella di trasferirci in Spagna, per provare questa nuova avventura. Io già parlavo spagnolo e comunque l’impatto è stato devastante all’inizio. Io avevo solo 16 anni, mia sorella addirittura 13. E non avevamo nessuno vicino se non i nostri nonni spagnoli che però vivevano a Valencia, a circa un’oretta di macchina. Io e mia sorella ci trasferimmo in una casa da soli, a Javea e all’inizio il fratello di David Ferrer ci trattò come suoi figli, spesso facendoci stare a casa sua per non farci soffrire la solitudine. Dono un mesetto e mezzo arrivò mia madre, che decise di trasferirsi anche lei in Spagna per starci più vicini. E in questi 6 anni in Spagna ho imparato tutto. Sia a livello tennistico che soprattutto umano. Ho vissuto un momento cruciale per un tennista, il passaggio da Junior a Pro e l’ho attraversato lì in Spagna, mi hanno dato le basi per poter affrontare questo mondo. In realtà la mia attività Juniores è stata abbastanza blanda perché avevo deciso di dedicarmi allo studio anche lì in Spagna per conseguire il diploma al liceo linguistico. E solo dopo i 18 anni avrei deciso cosa fare davvero da grande. Comunque in un torneo ITF Junior vinsi con Ruud, che ora abbiamo visto quanto è forte. E sono cresciuto. Arrivati i 18 anni mi era capitata una grande occasione per fare il college in America: avevo firmato già tutto, fatto il primo esame di ingresso e mi mancava solo il secondo esame. Il giorno prima mi telefonò David che mi chiese d rimanere lì, perché credeva in me e sarei potuto diventare forte, amando così tanto il duro lavoro e avendo predisposizione. Quella chiamata mi convinse e restai in Accademia in Spagna.”
La vita a 16 anni
“Se la racconto non ci si crede. Mi svegliavo alle 6, alle 7 uscivo di casa perché la scuola che frequentavo (una scuola internazionale) era ad un’ora da casa mia. L’accademia aveva fatto una convenzione con questa scuola e anche il tennis per i primi 2 anni l’ho fatto lì. Facevo 8-11 scuola, poi dalle 11,15 alle 13 tennis; poi in un quarto d’ora mi dovevo fare la doccia e mangiare perché alle 13,15 ricominciava la scuola fino alle 15. Dalle 15 alle 19 altre ore fra tennis e atletica. Quindi fra una cosa e l’altra rientravo a casa alle 20, dovevo cucinare da solo con una sorellina di 13 anni a casa e in più dovevo anche fare i compiti e studiare. Questo inferno per 2 anni. L’intensità degli allenamenti poi rispetto a qua era qualcosa che non avevo mai provato, quindi mi stancavo anche molto.”
Che persona è David Ferrer?
“Mi ha sorpreso perché lui era già un grande del tennis e non pensavo che avrei costruito un rapporto del genere con un campione del suo calibro. Per varie ragioni poi spesso mi allenavo con lui, un po’ perché mi aveva preso in simpatia, un po’ perché ero il ragazzo con maggiore livello per poterci palleggiare. Pian piano il nostro rapporto è cresciuto, mi chiamava persino per giocare a calcio in un campetto, facevamo 1 contro 1. E’ stato un mentore per me, e mi ha fatto entrare nella sua vita. David è molto umile, non ti fa mai sentire la pesantezza della sua personalità solo perché è un fenomeno e un campione. Mi trattava come fossi per lui un fratello minore, mi chiedeva come mi sentivo, se avevo problemi, se avevo bisogno di qualcosa.”
Nel 2018 fai tantissime partite nei Futures, prendi classifica, arrivi circa 400 ATP e poi nel 2019 ti confronti maggiormente con i Challenger, best ranking 270 ad agosto.
“Il mio percorso è stato un crescendo. Abbiano deciso di andare piano e vedere come crescevo. Il 2018 è stato l’anno della sua esplosione, ho vinto 4 tornei da 25mila dollari. Il primo torneo lo vinsi a Napoli e fu una emozione incredibile. E’ stato un anno che mi ha dato la sensazione di essere un giocatore, di poterne avere la credibilità. A metà 2018 poi feci un calcolo strategico sulla base delle nuove classifiche che stavano per nascere e premiavano i primi de ranking ITF. Così’ ho continuato a fare Futures, per salire di ranking ITF e poter entrare l’anno successivo nei tabelloni dei Challenger. Nel 2019 col mio team abbiamo programmato la stagione sui Challenger con continuità, pur rischiando di perdere un po’ classifica. Il livello è superiore, lo sappiamo, i tabelloni erano spaventosi. Ho però iniziato molto bene, facendo buoni risultati, ho battuto Monteiro su terra, Taberner e Martinez, tanti buoni che ho battuti. Ho portato al terzo Ruud, poi anche con Humbert ho giocato molto bene. insomma ancora una volta avevo preso coscienza di potermela giocare ad un livello più alto del precedente. E la fiducia in me stesso e nelle mie capacità è cresciuta. Poi un piccolo calo in estate, forse dovuto anche alla scelta di giocare competizioni a squadre e anche ad un momento personale in cui non sapevo se continuare in Spagna o tornare a casa. Poi mi sono ripreso giocando a settembre un gran torneo a Firenze, con i quarti di finale raggiunti in un Challenger che rappresentano al momento il mio miglior risultato della carriera. In quel torneo per altro non avevo accompagnatori, andai solo. A Firenze sconfissi appunto Pedro Martinez che era una sfida molto sentita perché ci allenavamo insieme da Ferrer: tra l’altro il fratello di David che era il mio allenatore mi aveva lasciato proprio per allenare lui, quindi insomma c’era del pepe in più nella partita. Vinco quel match e poi sapevo di dover fare doppio incontro perché i giorni precedenti aveva piovuto tanto e il programma era in ritardo. E mi trovo di fronte Taberner che aveva appena battuto Andrej Martin e rivinco di nuovo, al terzo, una partita lottatissima con le gambe che quasi non mi reggevano più. Grande atmosfera a Firenze, ero l’ultimo italiano rimasto in gara e il tifo era tutto per me. Poi prima dei quarti con Kohlschreiber mi dissi: “cavolo Raul, tu quattro anni fa non giocavi nemmeno a tennis mentre il tedesco batteva Djokovic ed era tra i primi 15 del mondo.” Per me lui era un mito, anche mentre palleggiavo con lui, era una emozione forte. Primo set me la sono giocata, perso sul filo del rasoio con qualche buona occasione, poi il secondo set sono stato sopraffatto dalla stanchezza e dal dolore alla schiena che ne frattempo era sopraggiunto.”
Ora nuovo progetto a Torre del Greco e dove vuoi arrivare
“Il presidente del circolo voleva impostare un progetto basato su me come tennista e su Giancarlo Petrazzuolo come allenatore. Ero affascinato dall’idea di allenarmi con lui, che come me è un gran lavoratore. La Federazione crede in me e ci tiene. Questo anche mi ha convinto a tornare. A volte vado a Tirrenia, e mi alleno con i ragazzi della FIT, e Umberto Rianna fa da supervisore e da punto di raccordo tra i miei allenatori di Napoli e Tirrenia. Alessio Concilio è uno degli allenatori che mi segue. Questa sinergia tra il mio circolo e la Federazione è qualcosa che mi gratifica e mi sta aiutando parecchio. L’obiettivo è top 100, vincere i tornei, però per come è andata la mia carriera penso giorno dopo giorno. Stare bene fisicamente, lavorare su tutto, essere felice in campo. Ce la metterò tutta e vediamo cosa arriverà.”
Alessandro Zijno