Matteo Donati: “A Tirrenia mi trovo benissimo, la mia rinascita parte da qui. Ripartirò da Futures con obiettivo quali Slam”
Matteo Donati intervistato da Luca Fiorino
Matteo Donati ha 25 anni, attualmente è numero 771 ATP, e ha un best ranking al numero 159 ATP. Si allena a Tirrenia agli ordini di Mosè Navarra, con la supervisione di Umberto Rianna e Filippo Volandri, dopo tanti anni passati alla corte di Massimo Puci che lo ha costruito tennisticamente.
La riflessione di Alessandro Zijno
Ho seguito Matteo in diverse occasioni, nel 2016 in particolar modo, quando faceva parte del gruppo con Eremin, Sonego e Mager del progetto federale gestito da Umberto Rianna. Tuttavia tra questi ragazzi è quello con il quale ho avuto meno frequentazione sul piano personale, umano. Abbiamo parlato pochissime volte, vai a capire perché tra noi non è scattato quel feeling immediato che invece è capitato con altri. Eppure Matteo è un ragazzo molto educato, anche estroverso, e mi avrebbe fatto piacere entrarci più in confidenza. Una particolarità di Donati che mi ha sempre colpito è la facilità di gioco che ha, la naturalezza, il timing e pensavo che avrebbe avuto una crescita più veloce. Del resto non potevo immaginare tutti questi contrattempi legati agli infortuni. Un altro suo punto di forza a mio parere, è che è eclettico e può adattarsi a qualsiasi superfice, dalla terra rossa al veloce indoor. Può far bene su tutti i campi e ha tante soluzioni tecniche.
Faccio una mia riflessione che propongo a Matteo attraverso una domanda: e se non fosse casuale che gli infortuni (almeno quelli più piccolini) siano arrivati proprio in occasione dei momenti in cui stava giocando bene? E’ studiato empiricamente, e posso dire che io l’ho visto anche con alcuni miei ragazzi e diversi professionisti, che nei momenti in cui si sta in alto, si sta giocando bene, arriva inconsciamente quella paura profonda. E’ un po’ la trasposizione al di fuori del campo di quella paura che prende noi tennisti quando siamo vicini ad una impresa sportiva in campo, siamo a 2 punti dal match e…cominciamo a pensare…. Lì il corpo si blocca, perdi la fluidità, ma resta confinato al gesto tecnico e al limite perdi la partita. Invece nella vita al di fuori capita che quando stai per arrivare alla conclusione vincente di un progetto, ti prende quella paura e…ti viene la febbre, o i mal di stomaco, problemi fisici più o meno gravi. Essendo gli atleti più soggetti ad infiammazioni articolari per ovvi motivi, più spesso capitano quelli o problemi muscolari. Tante ne ho sentite di storie così, e questo è un qualcosa su cui riflettere. Un lavoro mentale sulle proprie emozioni al di fuori del servizio o della fluidità in questi casi può essere utile. Cercare di comprendere quali sono le paure (e tutte le altre emozioni, ovvio) inconsce o anche conosciute, al di fuori ripeto di quelle specifiche di campo su cui comunque bisogna lavorare. Possono esserci delle credenze autolimitanti, come ad esempio “io non mi merito questo successo…” oppure “io non sono all’altezza delle conseguenze”…. Può nascere un timore inconsapevole che un successo alteri il nostro equilibrio – cosa che razionalmente già sappiamo, perchè se diventi top 100 ti cambia la vita economica a te e a tutte le persone che rappresentano il tuo mondo affettivo-. (Alessandro Zijno)
Quarantena a casa
“E’ arrivata questa situazione così inaspettata e tutti ci dobbiamo adattare. Provo ad allenarmi quel che posso in casa, almeno per rimanere in movimento e magari stancarmi per riuscire a prendere sonno la sera. E’ difficile prevedere la data di rientro, in questo momento sembra un miraggio. Sto cercando di leggere magari un po’ di più, dai thriller, a quelli sulla parte mentale nello sport. Non sono un appassionato di videogiochi. Poi c’è Netflix che tra un po’ prende fuoco. Pur di passare il tempo aiuto anche a far le pulizie a casa, infatti qui non ci credono nemmeno a vedermi.”
Cronistoria infortuni recenti
“E’ stato un anno difficile, iniziato già non benissimo sul piano dei risultati però la salute c’era. Poi è arrivato questo infortunio, che all’inizio sembrava poca roba. Però a Parigi c’è stato l’episodio scatenante, non avevo più forza nemmeno nella mano. Ho girato mille medici fino poi ad operarmi al gomito a Roma, era il primo luglio. Avevo voglia di rientrare, ma il post operatorio a Massa è stato durissimo. Tre mesi di fisioterapia, entravo alle 10, pausa pranzo e poi ancora fisio fino alle 18. Poi il rientro in campo è stato molto difficile: avevo voglia, tanta, ma non avevo più le stesse sensazioni sul timing, sulla palla, mi sentivo come in una centrifuga.”
Tirrenia e il lavoro di Volandri, Rianna e Navarra
“Dalla prima settimana di ottobre mi sono trasferito in pianta stabile a Tirrenia con la supervisione di Umberto Rianna e Filippo Volandri. L’allenatore che mi segue più da vicino e mi dà più appoggio è Mosè Navarra. Mi sono trovato davvero bene, perché avevo bisogno di avere qualcuno che mi infondesse fiducia e in loro ho trovato delle persone che mi hanno capito e supportato in un momento molto complicato. Quando mi entravano i pensieri negativi loro erano lì con le parole giuste e mi hanno aiutato a ritrovare quella fiducia.”
Motivo per cui non è rientrato a inizio 2020
“La nostra prima idea era quella di iniziare le prime settimane di gennaio a competere nel tour. Però essendo una situazione la mia molto delicata, mi hanno consigliato di prendermi qualche settimana in più. Nella mia testa convivevano entusiasmo e paura: c’era la voglia di giocare, di fare match veri ma anche il timore di affrettare il rientro.”
Partire da zero approfittando del periodo di stop: può essere un vantaggio?
“Sì, per esperienza ti dico che può anche essere un vantaggio, hai tanta voglia. Allo stesso tempo puoi allenarti quanto vuoi, ma la partita si allena solo facendo tornei, e sperimentando quell’adrenalina che solo il match ufficiale sa dare. Tuttavia quando rientrerò sarà passato più di un anno dall’ultimo match, e quindi davvero tanto tempo. Ma ho lavorato tanto sul piano fisico e anche su quello mentale.”
Approccio mentale differente
“Forse è proprio sul piano mentale/emozionale che ho fatto passi avanti importanti, credo. Incanalare nel modo giusto, vantaggioso, le emozioni, anche quelle che fanno soffrire. E poi saper accettare le difficoltà e non subirle, non restarci sotto. Nella fatica e nella paura, ho scavato dentro di me per ritrovare quelle motivazioni che ti fanno allenare bene. Credo di poter mettere a frutto queste esperienze anche nei prossimi tornei, quando si riprenderà a giocare.”
Obiettivo immediato al rientro: divertirsi e star bene
“Sì l’obiettivo è proprio questo, star bene con me stesso, perché il rientro dopo gli infortuni è così, devi sentire sensazioni positive. E quindi, con lo spirito giusto, ovviamente anche divertirmi. Tornare a fare quello che mi piace, con la testa libera, senza dolore.”
Primo ricordo del tennis
“Il ricordo di me bambino, piccolo di 5 o 6 anni, che giocavo contro il muro nella casa di mia nonna.”
Bellissimo aneddoto IBI 2016: ripescaggio all’ultimo secondo contro Giraldo
“Ero arrivato lì per le prequalificazioni, ma avevo un problema fisico e col mio coach di allora Massimo Puci avevamo deciso di non giocare ma rimanere lì per allenarci, e respirare l’atmosfera del Foro. Il venerdì sera, finite le prequali abbiamo deciso di firmare comunque e restare nel torneo, proprio sperando magari in qualche defezione dell’ultima ora. L’abbiam fatto così, le possibilità erano remotissime, e a nessuno dei due però andava di tornare e fare 6 ore di macchina il venerdì notte. Il giorno dopo, il sabato mattina, non eravamo entrati, e avevamo anche liberato la stanza dell’Hotel ma invece che partire subito abbiamo deciso, non sappiamo nemmeno per quale motivo, di restare qualche ora. Ma avevamo lasciato racchette e borsoni in macchina, era più la voglia di passare qualche ora in un ambiente così affascinante come Roma. Alle 9.27 avevo firmato, ma erano tutti presenti, per cui dico a Massimo Puci: “guardiamo il primo match poi ce ne andiamo, ci sono tutti.” Nessuno aveva avuto risentimenti, tutti si scaldavano serenamente, senza pensieri. Alle 9.48 arriva Sergio Palmieri di corsa, si era tolto Benjamin Becker, dovevo entrare. “Sei primo match” mi fa Palmieri “devi entrare subito”. Non so quante cose ho fatto, quante cose ho pensato in meno di 3 minuti, ero nel panico. Non capita troppe volte di giocare un Master 1000. Tra l’altro non sapevo nemmeno contro chi, non avevo fatto il minimo riscaldamento, se non correre per andare negli spogliatoi e poi per entrare in campo. Chiedo a qualcuno con chi giocavo e mi rispondono: “Con Giraldo”. Lui a fine match mi dice che non sapeva nemmeno che dovesse giocare con me, pensava ancora che avesse Becker come avversario.”
La partita con Berdych a Roma, la chiamata a Fognini prematch e le parole di Berdych
“L’anno prima avevo già giocato con Giraldo, battendolo e giocando con Berdych il turno successivo. Pensa che ogni tanto me lo vado a rivedere quel match, quando sono un po’ giù perché quella atmosfera, quella grande occasione fu davvero bellissima. Prima dell’esordio al Foro Fabio Fognini mi aveva dato consigli, soprattutto su come approcciare emotivamente il match, avendo giocato contro il mio avversario qualche tempo prima. Però dopo un set tutt’altro che bello ho reagito e mi sono divertito un sacco, ho un ricordo pazzesco. Alla fine del primo set mi sono rivolto a me stesso e mi sono detto: ”Peggio non può andare, questo è il torneo che sognavi da bambino, goditelo.”. Dopo qualche tempo ho rivisto Berdych, mi sono anche allenato con lui, grazie al suo coach Vallverdu: abbiamo anche chiacchierato in qualche occasione anche dopo quella partita a Roma, non posso dire di essere stato infelice anche se avevo perso. Sapevo che da quella partita avrei imparato tante cose. Giocare con il numero 3 o 4 del mondo, come era lui all’epoca, è qualcosa che ti rende orgoglioso.”
La vittoria con Giraldo agli IBI
“Come ho detto, dopo un inizio difficile a causa della forte tensione, ho giocato molto bene: sono riuscito ad usare tutti i miei punti forti, e devo dire che con lui sono riuscito sempre a giocar bene, lottate e sofferte ma ben giocate.”
L’affetto percepito dalla gente e cosa gli è mancato per il salto di qualità
“Devo ringraziare tante persone, tra amici e anche tifosi che non ho mai conosciuto personalmente, per avermi sostenuto nei momenti difficili. Il ricevere un messaggio, un pensiero, un saluto, anche in questi mesi lontano dai campi, mi ha fatto davvero piacere e mi ha fatto sentire la vicinanza e l’affetto di tanta gente. Non sentirti solo è importante, ti aiuta tanto in frangenti difficili per un atleta come un periodo di stop forzato. Che cosa mi abbia rallentato riguardo al salto di qualità non lo so, probabilmente la parte fisica possiamo dire che non mi ha aiutato. Tanti stop, uno su tutti l’infiammazione al polso dopo che avevo raggiunto il mio best ranking.”
Motivazioni che lo spingono a crederci ancora malgrado il calvario
“Il tennis è la mia vita. Ad un certo punto, dopo l’infortunio, ho avuto un po’ un rifiuto, non vedevo partite di tennis in TV, né andavo a vedere un amico che giocava. Per almeno un mesetto, a luglio, facevo davvero fatica a seguire o pensare al tennis. Però poi questo ultimo infortunio, così pesante, mi ha davvero tolto ogni dubbio sul fatto che il tennis è parte integrante della mia esistenza, è quello che voglio fare.”
Ricordi del Challenger di Caltanissetta
“Due finali a Caltanissetta. Il primo ricordo tuttavia è una partita che avevo quasi vinto e poi ho finito per perdere. Da quella partita però poi ho sempre giocato bene a Caltanissetta, peccato per le finali perse, una con Lorenzi che poi da quella finale vinta fece best ranking a ripetizione e ce lo ricordiamo sempre.
La prima finale Challenger a Napoli
“Sì, affrontai Munoz De La Nava che in quella settimana era davvero indemoniato e io ero arravto sfiancato dopo tante battaglie, partite lottatissime, gare di nervi, con Marco Cecchinato, con Arnaboldi 7-6 al terzo. E in quella finale con lo spagnolo Munoz de la Nava non ho rimpianti, non mi ha fatto giocare, non ho avuto occasioni.”
Il rapporto di fratellanza con Cecchinato, l’effetto traino fra gli italiani e la crisi del Ceck
“Con Marco abbiamo instaurato un rapporto per così dire di fratellanza, anche fuori dal campo. Ma con tanti italiani abbiamo costruito belle amicizie, con Stefano Napolitano, anche lui operatosi al gomito, con Sonego, ma siamo davvero in parecchi e ci aiutiamo l’uno con l’altro. Marco Cecchinato è stato il primo a dare il là a quei tennisti di seconda fascia, che poi di Marco non si potrebbe nemmeno dire visto che era già top 100 quando fece il suo exploit, Budapest e poi Parigi. Però dopo tanti anni di lotta per il primato azzurro tra Andreas Seppi e Fabio Fognini, Marco fu il nome nuovo che ha fatto scattare la scintilla in molti di noi che c siamo detti: “cavolo allora si può fare”. Anche il boom di Lorenzo Sonego lo conferma, e anche lui ha dato la spinta a tanti altri.”
La svolta per Ceck passa da Sartori: l’uomo giusto per Donati
“Non so cosa possa aver determinato la sua piccola crisi di risultati. Il tennis è bellissimo ma può essere anche diabolico, perché ci sono momenti in cui tutto quello che tocchi è oro, poi altri in cui non trovi le giuste sensazioni. Ci sono tanti fattori che possono aver influito, magari anche le attenzioni enormi che ci sono state addosso a lui, l’essere favorito in molte partite dopo i tanti successi. Ricordiamoci che si diceva che Cecchinato era quello che vinceva nei Challenger e quella era la sua dimensione: era stato confinato lì. Poi da un giorno all’altro boom, vince in ATP, fa semi al Roland Garros, e forse anche lui l’ha sofferto questo cambio di dimensione. Perdi una partita, perdi la seconda, la fiducia scende e oggi puoi vincere o perdere con tutti. Riguardo a Marco Cecchinato non si può parlare di problemi tecnici o tennistici stretti, perché nel frattempo da dopo Parigi è ancora migliorato dalla parte del rovescio ad esempio. Era l’aspetto mentale forse il problema, e ora questo cambiamento di allenatore, l’arrivo di Sartori, che ha tanta esperienza, gli può dare un grosso aiuto. Aveva forse bisogno di questa svolta, di uno shock diciamo, e Sartori lo farà lavorare a testa bassa vedrai. Marco non è un cavallo facile da gestire, ha tanta personalità e come allenatore serve uno di altrettanta personalità, di esperienza appunto come Sartori che lo conosce da quando era ragazzino.”
Aneddoti Shapovalov e Auger Aliassime (Challenger di Granby 2015)
“Ero in Canada, in un 100mila, volevo scaldarmi prima di un match e avevo messo “looking” nella lista, attendendo qualcuno. Arriva l’allenatore della nazionale canadese che già conoscevo da Junior e mi chiede se volevo scaldarmi con un ragazzino. Ci faccio solo Warm Up ma come finisco dico al mio allenatore che a questo ragazzo usciva la palla davvero bene, che a tennis sapeva giocare divinamente: era Shapovalov. Ed era piccolo davvero, io avevo 20 anni, lui ne avrà avuti 16. Per come palleggiava già si vedeva che era un fenomeno. Sempre in quel torneo vidi per la prima volta Aliassime: un amico malato di tennis me ne aveva parlato ma lo aveva visto solo in streaming. Non ci ho giocato ma l’ho visto in quella circostanza e mi ha colpito come atteggiamento: sembrava di vedere già un giocatore per come affrontava l’incontro, la pausa tra un punto e l’altro, il giocare al massimo tutti i punti, e aveva solo 15 anni! Mi colpì quello e anche il fisico già formato, su una faccia ovviamente da bambino. Un giocatore che mi ha impressionato per la pesantezza di palla è stato Kecmanovic, col quale ho giocato: ci ho vinto al terzo a Vicenza ma si sentiva che la palla era bella pesante.”
Utilizzo del ranking protetto: come funziona e con quale ranking ripartirà?
“Avrò modo di utilizzare il ranking protetto, e lo potrò usare per 12 tornei. Il ranking protetto funziona così: ti calcolano il ranking che avevi quando hai smesso, e poi quello di tre mesi dopo. E fanno una media. E io come media sono arrivato a 354 mi sembra, o insomma giù di lì. Spero di entrare in qualche challenger, o altrimenti utilizzo il ranking attuale sui 700 per fare Futures.”
Come impostare ora la programmazione tra Futures e Challenger
“Mi dividerò tra Challenger e Futures che è l’idea di partenza prima di questo incredibile stop. Vediamo dove entrerò cercando di giocare il più possibile, mettendo gare nelle gambe e trovando l’abitudine alla partita. Quali, Prequali, tutto quel che viene sarà buono. Quando mi sentirò pronto l’obiettivo ovviamente è di crescere di classifica e giocare prevalentemente Challenger.”
Obiettivo a lungo termine: traguardo nel ranking da raggiungere?
“A lungo termine di ranking l’obiettivo è quello della top 100. Le tempistiche non si possono sapere. I gradini sono quelli, Challenger, poi entrare nelle quali Slam e infine top 100 ATP.”
Alessandro Zijno