Francesca Jones, non sapeva che fosse impossibile, ecco perché ce l’ha fatta
“Lascia stare quella racchetta ragazzina, guarda che bella bambola, gioca con questa” le dicevano i vicini di casa a Bradford quando Francesca Jones aveva 5 anni e provava a impugnare la racchetta. Non riusciva affatto con la mano destra, più piccola dell’altra e con sole 4 dita, come quella sinistra. Allora Francesca posava la racchetta, tratteneva a stento le lacrime e prendeva la bambola. Quando nessuna la guardava però, gettava a terra la bambolina e riprovava a tenere la racchetta da tennis in mano. Provava e riprovava. Fin quando trovò un suo modo di impugnarla. Almeno non le cadeva dalle mani deformi, anche se non riusciva di certo a colpire una pallina. Francesca usciva ed entrava di continuo dagli ospedali: la sindrome EEC (Ectrodactyly Ectodermal Dysplasia) non le dava tregua. L’aveva fatta nascere con 3 dita per ogni mano, più il pollice. Mille operazioni, per cercare di regolare la crescita ossea con quella dei tendini, che rischiavano di strapparsi. Francesca tornava a casa dagli ospedali e si chiedeva perché proprio a lei. Ma più passava il tempo e più quella bimba guardava il tennis in tv e voleva emulare le gesta delle campionesse che ammirava. Non ne aveva una preferita in particolare, si sentiva diversa da tutte quante, in nessuna tennista poteva immedesimarsi. “Ho lavorato giorno per giorno, senza mai ascoltare chi mi diceva che era impossibile. Quando ero piccolina il grip (l’impugnatura) è stata un problema. Mi viene da ridere quando sento qualcuno parlare di “impugnatura giusta”. Non esiste una impugnatura corretta e una scorretta, io ho preso in mano quella racchetta e dovevo solo trovare il sistema di mandare la palla di là.”
Mamma e Papà Jones
I genitori la portano a giocare in una piccola scuola tennis e i primi maestri notano subito i problemi alle mani, ma da bravi educatori la trattano come gli altri ragazzi, la incoraggiano. Qualcuno però la deride, i bimbi a quell’età si sa, sono tremendi, senza filtri, e le affibbiano nomignoli antipatici, da scherzo della natura. Lei vorrebbe ucciderli ma sa che solo battendoli sul campo può davvero dimostrare a tutti che i suoi problemi fisici non le impediscono di competere con tutti gli altri. Il problema è che non ci riesce. Sì, perché Francesca nasconde un altro segreto. Che lei fatica a confessare. Anche i piedi sono deformi: al sinistro ha 4 dita, nel destro addirittura solo 3. L’equilibrio, capacità piuttosto importante nel tennis, non è il suo forte. A volte Francesca ha dolore ai piedi, perché gli appoggi sono innaturali. Tutti le dicono che fa bene a voler praticare sport, ma ce ne sono tanti altri, perché proprio il tennis? E poi è una bimba molto brava a scuola, potrebbe eccellere, e magari un giorno insegnare visto che è così sensibile. A 7 anni i genitori la portano a Heaton, uno dei migliori tennis club della città, e Francesca migliora il suo tennis, la palla di là la rimanda sempre, ha un bel timing e ad uno sguardo distratto non sembra diversa dagli altri bambini. Però appena qualcuno la guarda meglio ricominciano le battute, lo scherno. Un po’ Francesca ci mette del suo: è così tanto determinata da non risultare simpatica. E appena perde delle partite la gente ne approfitta per consigliarle di smettere. Non si è mai vista una tennista Pro con 4 dita delle mani, e addirittura con 3 dita in un piede. “La mia sindrome è stata un handicap e una risorsa. Perché mi ha reso la ragazza positiva che sono oggi. E sono orgogliosa di me”. Francesca ha uno spirito combattivo, è determinata, ma l’handicap è grande, certamente non è alla pari delle sue contendenti come punto di partenza. La deformazione non è tuttavia la cosa peggiore: appena Francesca si abitua, succede che si deve operare di nuovo perché i tendini delle mani non crescono in linea con le ossa. I dolori sono incredibili, ogni volta uscita dall’ospedale, deve ricominciare daccapo con le sensazioni della racchetta nelle mani. Un passo avanti e due indietro. Ci vuole un’anima superiore, una motivazione che forse nemmeno l’inglesina sa di avere. “Occorre una determinazione speciale per farcela nelle mie condizioni. Ogni giorno accadeva qualcosa di deludente, un medico che diceva che dovevo operarmi di nuovo, qualcuno che mi chiedeva perché mi ostinassi tanto, i miei genitori che comunque si preoccupavano. Io stessa non sapevo quando questo calvario sarebbe terminato, se mai un giorno lo fosse. Quando ero in campo però accadeva una cosa strana: stavo bene con me stessa, anche se avevo dolore. Riuscivo a sopportarlo e quando miglioravo era una soddisfazione incredibile. Ho fatto 15 operazioni chirurgiche nella mia vita, non ci si abitua mai, però tutto questo ti rende più forte. Ci sono delle cose magari piccole cui devi far fronte quando sei nelle mie condizioni: ad esempio mi si rompevano le unghie perché impugnavo la racchetta stringendola molto. Ma a tutto ci si abitua.”
Francesca Jones e David Pons
Intanto Francesca Jones da Bradford, figlia di due consulenti finanziari di successo, ottiene parecchi risultati in Inghilterra, tanto da prendere una decisione tanto rischiosa quanto affascinante: andare da sola, a 10 anni (avete letto bene, 10 anni) in Spagna, a Barcellona ad allenarsi. I Jones trovano una Accademia, la Sanchez-Casal, disposta a prenderla, pagano la retta del full time con scuola, investono 100mila euro l’anno sulla loro figliola. Nel primo torneo internazionale che gioca, circa 2 anni dopo, siamo nel 2013, perde dalla russa Anna Sokiran, di 3 anni più grande ma facendo una gran bella figura: il torneo si gioca proprio nell’Academy spagnola dove lei risiede e Francesca lo ricorda così: “Tutti pensavano che fossi una raccomandata. Che mi avevano dato una Wild card solo perché i miei sborsavano una valanga di soldi nell’Accademia. Invece i maestri avevano visto in me del talento, l’impegno continuo, e non era un contentino. All’inizio non è stato facile trasferirmi in Spagna da sola. Mi mancavano le mie abitudini, la mia famiglia. Tanta gente poco intelligente mi chiedeva come mai dovessi andare in Spagna per giocare a tennis visto che anche in Inghilterra si poteva fare. Ma il livello in Spagna era di molto superiore nella prima decade degli anni 2000 rispetto alla Gran Bretagna, ed io volevo e voglio ancora allenarmi al massimo delle possibilità, diventare la numero 1 al mondo.” Da lì in poi la carriera Juniores di Francesca è decollata, fino alla posizione numero 31 del ranking mondiale e l’attenzione anche della Federazione Britannica, prima su tutte quella di Jody Murray.
Francesca Jones resiste superando ogni ostacolo, o aggirandolo se ce n’è bisogno, trovando in altre parole le “soluzioni”. E’ una ragazza nata con handicap che potevano costarle una carriera, poi le operazioni innumerevoli, un cambio di vita che poteva minarne le sicurezze quando si è trasferita in Spagna per 8 anni.
Francesca Jones e Coach Portas
Tennisticamente la Jones è solida, con un servizio migliorabile, un buon diritto e un rovescio poco appariscente ma efficace. La maggior parte dei vincenti li ottiene col diritto, grazie al quale si conquista spesso l’inerzia dello scambio. A vederla giocare non ruba l’occhio, sarà per un fisico che non pare perfetto per il tennis professionistico: anche da questo punto di vista non è stata baciata dalla fortuna, perché tende ad ingrassare, deve fare una fatica tremenda per restare in forma, e bisogna dire che anche sul piano alimentare si applica davvero tanto. Geneticamente oltre alla malformazione delle mani e dei piedi ha anche questa tendenza a metter su massa grassa, eppure si muove abbastanza bene sul campo, per una capacità di lettura della palla davvero speciale.
Ora Francesca è una professionista affermata nel tennis che conta, il mondo si è accorto di lei. Attualmente è numero 297 del mondo a soli 18 anni (ne compirà 19 a settembre), ha già conquistato ben 5 tornei ITF (di cui 2 25mila dollari in questa stagione) e continua a lottare contro pregiudizi e una malattia invalidante. Le sue mani sono piene di cicatrici, i suoi piedi sono spesso doloranti, nella sua testa rimbalzano emozioni opposte. Da una parte la fierezza di aver superato tanti problemi, dall’altra l’amarezza per un mondo non sempre benevolo.
Quella di Francesca Jones è una storia che va raccontata, è l’esempio vivente della tenacia, della voglia forte di farcela, anche quando tutto consiglierebbe di lasciar stare.
Alessandro Zijno