Marcelo Zormann: “Nao me aguento mais”
Marcelo Zormann apre il suo cuore e rivela la sua depressione.
L’ex campione di Wimbledon Juniores in doppio, in coppia con Orlando Luz, ed ex numero 12 del mondo sempre da “Boy”, nella sua pur breve carriera a 22 anni ha già affrontato tanti giocatori, ma da uno in particolare sembra uscito sconfitto al momento: se stesso. Attualmente numero 300 del mondo in doppio e 800 circa in singolare, al paulista di Lins è stata diagnosticata una forte depressione che lo costringerà a fermarsi almeno fino alla fine del 2018. Ricordo bene di averlo incontrato e conosciuto prima a Bergamo nel 2016, poi ancora meglio a Perugia perché alloggiava in un bed and breakfast non lontano dal circolo e capitava di fare la strada insieme. Aveva fatto la tournèe italiana con Joao Pedro Sorgi e il suo caro amico Orlandinho Luz e non era molto soddisfatto di come stava andando nonostante proprio a Perugia fosse stato ripescato come Lucky Loser dopo aver perso da Gianluca Mager nell’ultimo turno di quali. Poi era stato sconfitto da Cecchinato in tre set al primo turno del main draw. Mi disse testualmente: “nao me aguento mais”. Capisco un po’ il portoghese e compresi lo sfogo, traducendo più o meno come “non ce la faccio più”. Sentiva di non essere adatto a questa vita di continui trasferimenti, aveva patito il passaggio da Junior a Pro molto più di altri, anche se per tutti è difficile. Non sopportava la frustrazione della continua sconfitta, situazione nuova per lui che vinceva spesso da ragazzino. Come Sorgi e Luz, anche Marcelo proviene da una famiglia benestante, ma a differenza degli altri due possiede una sensibilità più spiccata: è meno superficiale e più propenso alla riflessione. Juan Pedro Sorgi è un ragazzone biondo che piace alle ragazze, un po’ snob, che poco sopportava le continue riflessioni tristi di Marcelo. Orlando Luz è l’amico della vita, uno con cui Marcelo ha condiviso ogni cosa, soprattutto tennistica, ma è un ragazzo che da sempre è molto concentrato sul tennis, ha una famiglia che lo spinge quasi furiosamente a confrontarsi col resto del mondo. La famiglia di Marcelo al contrario ha sempre lasciato libero il ragazzo, forse pensando di fare il suo bene, tanto che il giovane paulista non ha nemmeno finito la scuola superiore. Zormann ha vinto 3 tornei Futures in singolare e ben 15 in doppio ed ha un best ranking proprio del 2016 piazzato al numero 467 ATP. Visto all’opera più volte su terra battuta, contro Matteo Viola, contro Andrea Pellegrino e proprio contro Gianluca Mager posso dire che giocava piuttosto dietro la riga, pur con doti e propensione offensiva, ma disponeva all’epoca di una palla pesante ma ancora non di livello Challenger. Ed anche sul piano psicologico cominciava ad incrinarsi qualcosa, dentro e fuori dal campo. Di depressione si parla troppo poco, i ragazzi che ne soffrono temono di essere considerati dei deboli, è un tema tabù, preferiscono dire di avere problemi fisici, o di altra natura piuttosto che ammettere di vivere male con se stessi. In questo la società non li aiuta.
Felipe Priante lo ha incontrato a Campinas, in occasione del Challenger dove Marcelo per ora fa lo spettatore, raccontando la sua depressione e la lotta in solitaria contro questo male oscuro.
Mi dici qualcosa di questa depressione e della decisione di fermarti un po’?
“Credo sia la decisione migliore che ho preso finora nella vita. Già da un po’ di tempo mi sentivo male in relazione al tennis, cominciavo ad odiare questo sport e la sua competizione continua, la mancanza di sicurezza, i viaggi continui e tutto il resto. Giocavo ma soffrivo. Tanto è vero che nelle ultime settimane ho perso con avversari di livello inferiore al mio. Poi sono tornato a casa, mi allenavo lo stesso, ma stavo meglio al pensiero di non dover competere. In realtà dovevo andare in Argentina per un nuovo torneo, avevo già i biglietti aerei, ma non me la sono sentita. Avevo dentro un misto di rabbia, impotenza, paura, tristezza, disgusto per questo sport inteso come lavoro. La prima persona con cui mi sono confidato è stata la mia fidanzata, provavo vergogna. Un uomo, un maschio nella nostra cultura è abituato a sostenere psicologicamente una ragazza, non l’inverso. Poi ne ho parlato con Edvaldo Oliveira, il mio allenatore, e lui mi ha confidato che si era accorto della mia depressione. Lui mi ha consigliato di parlare con la psicologa del centro di “treinamento” con la quale mi sono aperto in maniera totale, raccontando situazioni emotive e pensieri che non ho maia vuto il coraggio di esternare né con la mia fidanzata e nemmeno con mio padre. Lei mi ha fatto capire che in questo momento non sono in grado di prendere decisioni, e che fermarmi senza pensare al futuro è la scelta migliore. L’unica cosa di cui ho bisogno è vivere la quotidianità, il qui ed ora. Forse tornerò a giocare nel circuito, forse no.”
La sensazione in questo momento è più di rabbia, spaccare tutto o più di tristezza, tipo piangere?
“Ora più tristezza, ma non è una cosa razionale, non è un pensiero, è che le mie gambe a volte non hanno voglia di alzarsi dal letto, i miei occhi non desiderano vedere il sole o altro. Ma sto migliorando anche se non c’è da combattere contro questo mostro, solo accettare e aspettare che passi.”
Hai idea di come è successo tutto questo dentro di te? E’ colpa del tennis?
“Senza dubbio non aver raggiunto i miei obiettivi nel tennis ha influito. Ma posso dirti che non sono il motivo principale dei miei malesseri. Sai sono anni che a volte mi veniva di inventarmi scuse per non allenarmi, o per non andare ai tornei e via discorrendo. Nessuno mi obbligava, ma io mi sentivo costretto. Forse perché ho sempre fatto solo questo, ho sempre solo tirato palline e c’è sempre stato un numero prima di una sigla, tipo 12 Juniores o 400 ATP. Finiamo per sentirci numeri. Ho cominciato prima a non amare più il tennis e ciò che rappresenta, per poi finire a non amare più nemmeno la vita al di fuori. I miei amici mi invitavano il fine settimana a mangiare qualcosa e io inventavo scuse per non uscire. Avevo voglia solo di stare dentro casa e basta, a far nulla.”
Ora con l’aiuto della psicologa ne stai uscendo fuori?
“Non ne esci mai fuori del tutto. Ora io sto parlando con te e mi sento bene ma in 5 minuti potrei avere difficoltà a respirare o potrei sentire un tale malessere da smettere di parlare ed andare via. Il tennis mi ha almeno dato l’abitudine a risolvere problemi. Una palla che arriva è un problema da risolvere, la scelta di un torneo idem. Naturalmente sto anche prendendo medicinali per aiutarmi. Il fatto è che davvero il tennista di alta performance è sottoposto a stress indicibile, il fisico si consuma in fretta, la difese immunitarie si abbassano tanto è vero che molti di noi prendono malattie virali o del sistema immunitario, e quindi in tutto questo se hai un equilibrio psicologico precario finisci nel mio stato. Te lo dico per certo, nel circuito non sono l’unico in questa situazione, solo che nessuno ne parla.”
Ora sei fermo e qui a Campinas stai assistendo al torneo: ti fa male non far parte del gioco e vedere gli altri?
“Mi fa bene, perché comunque qui ho tanti amici e questo è il mio mondo. Mi piaceva ieri ad esempio vedere Orlandinho (Luz ndr) che serviva e notare i suoi miglioramenti; non è il gioco del tennis che non mi piace più, è il significato che gli stavo dando. Per questo la competizione in prima persona non mi manca assolutamente, mentre mi piace vedere una partita ed anche vivere le emozioni degli altri ragazzi. Forse tutto questo un giorno mi sarà d’aiuto per avere la consapevolezza delle mie emozioni dentro e fuori dal campo e comprendere anche tante reazioni dei mie colleghi e amici.”
La tua famiglia e il tuo ambiente come hanno reagito alla notizia del tuo momentaneo fermo?
“Tutti mi sono vicini, mi appoggiano perché hanno compreso le ragioni del mio blocco. I miei parenti più prossimi e i miei amici più cari avevano notato il mio stato di depressione e quindi sono sollevati nel vedermi in risalita sul piano psicologico. Qualcuno può vedere tutto questo come una debolezza, forse lo è ma è una storia seria la depressione e non ci si scherza. Vedi, razionalmente non c’è nulla che vada male no? Ho comunque la salute, gioco bene a tennis quindi sono valido in quello che è il mio lavoro, ho l’appoggio della mia famiglia ma…non ero e non sono felice. Ho l’obbligo verso me stesso di chiedermi perché e trovare delle risposte. E ho bisogno di tempo.”
E’ ottimo per te trovare il coraggio di parlare, Marcelo. E forse il primo passo è il più difficile, no?
“La cosa più difficile è stato accettare tutto questo con me stesso. Raccontarlo a me stesso, ecco. All’inizio ai giornalisti o persone dell’ambiente che mi cercavano dicevo che ero “acciaccato”, inventavo malanni fisici, perché non tutti possono capire e c’è tanta gente cattiva in giro, o solamente molto superficiale. Ora ne sto parlando, sia per me stesso sia per chi si trova nella mia stessa condizione e magari ha paura a dirlo.”
Pensando al tennis, quali sono i progetti da qui a fine anno? C’è possibilità di vederti tornare?
“La mia priorità è occuparmi di me, adesso, devo volere bene a Marcelo, non al tennista. Non so cosa farò, vivo giorno per giorno. Il momento che sentirò il piacere di mettermi il gioco prenderò il mio ipin (l’identità digitale dei tennisti professionisti) e mi iscriverò ad un torneo. Ho passato giorni interi dentro casa, ora sono tornato almeno ad uscire, ogni tanto vado al club e tiro qualche palla, posso dire persino che ho fatto qualche allenamento. Però sai cosa penso? Che ho tanta voglia di dimostrare a me stesso che so fare anche altro, ad esempio studiare. Ho lasciato le scuole superiori e voglio recuperare. A 14 anni ho smesso di studiare, i miei genitori hanno accettato la mia scelta che fu errata. Vedi, da una parte allenarti di più tipo 8 ore al giorno ti aiuta a vincere tante partite a quella età. Gli altri vanno a scuola la mattina e tu invece giochi. Ovvio che il tuo tennis migliora. Velocemente. Ciò che non migliora è la tua capacità futura di lettura degli eventi, le tue competenze in altri ambiti. Diventi diritto-rovescio-servizio, e non sai chi è stato Mao Tse-Tung o non hai mai letto un libro su un cangaceiro (una sorta di bandito venuto dal popolo che lotta contro il potere, figura assai popolare nella iconografia brasiliana ndr). Questo all’inizio non ti pesa, poi quando viaggi, conosci altre culture, ti confronti con altra gente tutto cambia. E influisce anche sulle prestazioni. I più grandi campioni, da Federer a Nadal, da Djokovic a Del Potro sono tutti ragazzi che hanno saputo adeguare la loro capacità culturale al loro talento tecnico.”
Ciao Marcelo, ero e sono sicuro che ci rivedremo in giro, nel circuito. Ricordo i tuoi occhi curiosi a Napoli, una città per certi versi così simile al tuo Brasile pieno di contraddizioni. Penso che sei diventato uomo troppo in fretta, e che questa depressione non ci voleva. Non so se lascerai un segno nel tennis, ma so per certo che con queste tue parole aiuterai tanta gente ad uscire dal guscio. Forse anche altri ragazzi che fanno il tuo mestiere, uno dei più difficili del mondo, perché solo in 100 in tutto il globo guadagnano soldi e fama, e gli altri si prendono le briciole, le critiche e la poca considerazione.
Alessandro Zijno
Mica te l’ha obbligato il dottore di giocare a.tennis………….
La domanda è: possibile che il vecchio motto mens sana in corpore sano non sia più vero? Lo sport di alta performance ha forse prodotto ragazzi molto forti sul piano tecnico ed atletico ma meno consistenti sul piano emotivo? Cmq ora il dottore glielo ha tolto il tennis Grazie del commento Mauro