Quando il tennis si tinge di giallo: l’incubo di Mark de Jong, 18 anni di carcere

L’INCUBO DI MARK DE JONG, Ex Coach di Robin Haase, condannato a 18 anni di carcere

E’ la sera del 3 marzo 2016 a Bilthoven un sobborgo residenziale vicino Utrecht: il miliardario olandese Koen Everink, fondatore di una delle più importanti aziende che si occupano di viaggi “Eliza Was Here”, e il Tennis Coach Mark de Jong stanno guardando in tv una partita di calcio della coppa olandese. I due sono vecchi amici, Mark di 10 anni più giovane e affascinato dalla personalità poliedrica di un uomo come Koen, nato già ricco ma poi capace di sviluppare da solo le fortune familiari, scherzano davanti la partita. Forse hanno scommesso qualcosa su quel match, probabilmente sul numero di corner, caratteristica “bet” del miliardario olandese. Di sopra la figlioletta di Koen, di 6 anni dorme beatamente.

nella foto Robin Haase a sinistra con Mark de Jong, il suo coach
Mark de Jong da due anni è l’allenatore di Robin Haase, top 100 ATP, ragazzo tranquillo ma grintoso al punto giusto da dichiarare di voler vincere uno Slam. Il giovane Coach è figlio di una famiglia benestante di Rotterdam, il papà è dirigente di azienda e introdotto nella camera di commercio locale, appassionato di tennis tanto da condurre sia Mark sia il figlio più piccolo Stefan al professionismo con spese ingenti. Nel corso degli anni però Mark si è reso conto di essere più portato per l’insegnamento e il coaching. Grazie ad amicizie vantate nel percorso junior come Wesley Koolhof e Igor Sijsling pian piano entra a far parte del team di Robin Haase. Tutti parlano bene di lui, come un ragazzo con focus sul tennis, mite e riflessivo.

nella foto Koen Everink
Koen Everink è il classico miliardario un po’ eccentrico, geniale e insopportabile allo stesso tempo. Frequenta donne bellissime, qualcuno sostiene che gli piacciano particolarmente le minorenni: del resto nel mondo superficiale e patinato che frequenta sono spesso le mamme a dare “in pasto” le loro figliole postadolescenti a uomini maturi in crisi di mezza età. O semplicemente incapaci di gestire le proprie pulsioni. Oltre che dal fascino femminile, Koen è attratto da sport e scommesse: e se lo sport è quasi sempre qualcosa di molto sano, per le scommesse il discorso può prendere una piega differente. Sta di fatto che Koen conosce quasi tutte le personalità sportive olandesi, è una delle tante figure strane e particolari (e pericolose aggiungo) che girano il circuito tennistico a vario titolo e spesso rappresentano le uniche persone sugli spalti semivuoti di Futures e Challenger in giro per il mondo. Il nome di Koen Everink sale però alla ribalta nelle cronache sportive quando viene picchiato selvaggiamente nel 2013 dal kick boxeur Badr Hari, noto per essere uno dei più cari amici di Cristiano Ronaldo, durante un festival di danza all’Amsterdam Arena. Badr Hari non ha mai negato le accuse, si è preso 24 mesi di carcere per aver difeso la sua compagna Estelle Cruyff, figlia del celebre campione olandese di calcio, nonché prima moglie di Ruud Gullit. Pare che Koen Everink avesse fatto delle avances sessuali a Estelle, da lui apostrofata come “di facili costumi”.

Badr Hari, il lottatore condannato a 24 mesi di carcere 

Ma torniamo a quella sera del 3 marzo 2016. Tra il primo e il secondo tempo del match, stando a quel che racconta Mark de Jong, suona il citofono della villa ed alcuni uomini invitano il miliardario a scendere. Mark non li conosce. Gli uomini sono 4, aggressivi e determinati, e senza dare il tempo di reagire al coach olandese, lo trascinano in una macchina, lo incappucciano e lo immobilizzano. Lui è terrorizzato, non sa cosa vogliono fargli. Ha paura che siano dei creditori insoddisfatti, visto che ha lasciato qualche debito in giro tra i bookmakers illegali e tra la piccola malavita locale. Quando gli dicono di andarsene e lo sbattono fuori dalla macchina, l’unico gesto che a Mark viene in mente è quello di togliersi il cappuccio e scappare il più velocemente possibile. Torna a casa senza denunciare l’accaduto per paura di ritorsioni. Né contatta più il suo amico miliardario, sospetta persino che sia lui il mandante dell’aggressione visto che ha qualche debito anche con lui. Poca roba per uno così ricco, circa 25mila euro (sula stampa uscirà poi la notizia di un debito mai accertato di 80mila euro di Mark de Jong nei confronti di Everink), che rappresentano quello che il miliardario spendeva in una sera per un privè nei migliori night di Amsterdam. Mark guida fino a casa sua a Rotterdam, va a dormire e il giorno dopo preparando la valigia si scrive su whatsapp con Robin Haase per preparare la imminente trasferta a Indian Wells in California. L’appuntamento è fissato l’indomani mattina ad Amsterdam, non prima di una piccola rifinitura atletica che il coach propone al suo assistito. Al Master1000 californiano Robin Haase va sufficientemente bene da essere soddisfatto e comunicare la sua felicità al suo amico Thiemo De Bakker impegnato anch’esso nello stesso torneo. Robin supera il primo turno battendo l’argentino Schwartzman poi va fuori col talento ucraino Dolgopolov giocando comunque bene. Un fastidio al ginocchio di Haase induce i due olandesi a rinunciare alla trasferta in Florida per il torneo di Miami e tornare a casa. Quando l’aereo atterra all’aeroporto di Schipol gli agenti della polizia olandese si avvicinano a Mark de Jong e lo pongono in stato di fermo. L’accusa è omicidio sebbene nelle prime ore il coach venga interrogato come persona informata dei fatti che hanno riguardato l’uccisione di Koen Everink attraverso 12 coltellate mortali. Da questo momento in poi la vita di Mark si trasforma in un incubo, da cui non è ancora uscito: qualche mese fa è arrivata la condanna per omicidio a 18 anni di carcere. Dopo il cambio di avvocato, il nuovo legale Pieter Hogendaam promette battaglia in appello.


La Tesi dell’Accusa.
Il Pubblico Ministero aveva chiesto proprio 18 anni di carcere, quindi è stata accolta dal giudice la pena proposta. L’accusa è quella di omicidio volontario, mentre non è stata provata in tribunale la premeditazione nonostante in fase d’indagine nel pc e nello smartphone siano state trovate ricerche su come “uccidere” una persona. Gli inquirenti hanno contestato a Mark de Jong la presenza del suo DNA sulla scena del crimine e persino mischiato alle tracce di sangue della vittima. In realtà vedremo che le cose non stanno proprio così. L’arma del delitto non è stata trovata, ma dalla casa di Everink mancherebbe un coltello da cucina (mentre un coltello originariamente considerato l’arma fatale è stato considerato incompatibile con le ferite). Certo tuttavia non esiste un inventario dei coltelli in una casa e senza dubbio la compagna di Everink non era solita stare spesso in casa, tanto che mancava anche quella sera e la bimba era da sola col papà. La mancanza del coltello da cucina però è poco certificabile, in quanto nessuno in casa fa un inventario delle posate. Il movente sarebbe nei debiti contratti dal coach nei confronti del miliardario, ma i 25mila euro che sono stati certificati appaiono piuttosto pochi per uno che spendeva e spandeva di continuo come Everink. Dai tabulati di Pokerstars, il più grande provider di poker del mondo, risulta che in effetti Mark de Jong aveva perso nell’ultimo anno circa 60mila euro sebbene suddivise in piccole somme quasi ogni giorno. E questo secondo l’accusa rinforzerebbe il movente dell’uccisione per non ripagare i debiti. Un altro indizio a carico di Mark De Jong fu una telefonata che il coach olandese fece ai suoi genitori mentre era in carcere: secondo l’accusa e la trascrizione della telefonata registrata avrebbe chiesto a sua madre di far sparire un orologio sottratto alla vittima. Vedremo dalla tesi della difesa che forse non è così.


La Tesi della Difesa.
1- Il DNA. Il DNA trovato sulla scena del crimine è riconducibile a Mark De Jong, ma sono stati trovati anche altri DNA e in quantità organiche importanti, persino mischiati al sangue della vittima.
2- Le indagini sono andate in una sola direzione, partendo già dall’assunto che il colpevole fosse Mark De Jong, perché in Olanda la pubblica opinione desiderava un colpevole e la polizia voleva trovare velocemente l’autore.
3- Ci sono due testimonianze. Una è quella della compagna dell’omicida che dichiara la mancanza della presunta arma del delitto, ma la difesa ha anche sminuito tale testimonianza per il passato da cocainomane di questa donna. L’altra è quella dei vicini di casa (una villetta a fianco di quella della vittima) che hanno dichiarato di aver visto delle persone sospette nei pressi della villa. La testimonianza dei vicini di casa però non è stata considerata dagli investigatori.
4- Le 2 personalità. Una, la vittima, chiaramente dedita al consumo frequente di cocaina, con un carattere così terribile e viziato da poter tranquillamente vantare tanti nemici, sia per invidia sia per liti pregresse come testimonia l’episodio del campione di kick boxing Badr Hari, che Koen Everink ha fatto condannare a 2 anni di carcere per altro scontati quasi per intero. L’altra personalità è quella di Mark, che tutti i testimoni citati dalla difesa hanno descritto come mite e tranquillo, incapace di uccidere chicchessia.
5- Il comportamento del condannato nelle ore successive al delitto. Sono stati sequestrati i telefonini dell’imputato e dal tono dei messaggi inviati si rivela una serenità totale. Inviti a cena, organizzazione di incontri futuri, progetti e via discorrendo. Ci sarebbero dei messaggi inviati a Sijsling, De Bakker, ed altri sulla programmazione dei tornei primaverili europei. Mark, che cercava partner di doppio per Robin ad esempio sembra abbia chiesto a Koolhof se il suo sodalizio con Midelkoop continuasse. Un assassino si comporterebbe così? E perché sarebbe tornato in Olanda tranquillamente, potendo sospettare di essere indagato, quando avrebbe potuto intanto riparare dagli USA nel Belize e in Guatemala che non hanno firmato gli accordi internazionali con il governo olandese per l’estradizione?
6- L’intercettazione. Un perito della difesa ha certificato che la trascrizione della conversazione telefonica di De Jong dal carcere con la famiglia fu errata. Non essendo chiara la voce non si comprendono bene le parole, ma in realtà il coach olandese avrebbe detto alla mamma proprio di dare l’orologio agli investigatori e avrebbe poi giustificato il possesso come un regalo di Everink per una dritta sulle scommesse.
7- La perizia del “forensisch onderzoeksinstituut IFS”, un istituto privato forense che ha sostenuto in tribunale che a commettere l’omicidio sarebbero stati più uomini, con l’esclusione del sospettato, sulla base dello studio della scena del crimine e dei reperti.

La mia tesi.
Sono 3 anni che indago su questa vicenda e solo adesso mi sento di poter scrivere. In occasione del BFD Challenger a Roma nel 2016 dove per altro Robin Haase arrivò in finale (perdendo con il ceco Jan Satral) e dove io ero il responsabile del quotidiano “game, set, match” dedicato al torneo supervisionato dall’arbitro internazionale Nicholas Stellabotte, aspettai l’arrivo di Robin Haase proprio per chiedergli di questa vicenda e lui si chiuse in un mutismo totale. Nel corso dei giorni però entrammo un po’ più in confidenza, il torneo gli stava andando bene e si informò su chi fosse quel “ficcanaso” che osava chiedergli ciò che tutti sapevano ma di cui nessuno in Italia voleva parlare. Le notizie che ebbe su di me gli piacquero e decise di chiacchierare un po’. Mi scuso con lui ora per il mio inglese stentato. Robin mi confidò che non aveva visto in alcun modo diverso dal solito il suo allenatore, e che nulla lasciava presagire ciò che sarebbe successo, cioè l’arresto di Mark anche se la notizia dell’uccisione di Everink era già trapelata così come il fatto che de Jong fosse in sua compagnia la sera prima del ritrovamento del corpo. In realtà (ma questo non lo seppi dalla sua voce ma da altre fonti) Mark De Jong era stato già ascoltato attraverso il telefono dai primi investigatori che sapevano della sua presenza sul luogo del delitto la sera precedente al ritrovamento del corpo. Quindi è partito per gli USA sapendo o comunque potendo sospettare di essere indagato, e la mancata fuga mi fa propendere per l’innocenza. Anche la chiacchierata al telefono del carcere appare come una leggerezza tropo ingenua nel 2018 in cui anche un bambino sa che si viene registrati e quindi appare inverosimile che de Jong sia potuto cadere in errore. Ciò che trapelerebbe indagando nel sottobosco tennistico è che, in quel preciso momento storico ed anche in precedenza, Kean Everink potesse essere un giocatore patologico, ossessionato dal perdere soldi e con la smania di rifarsi. Uno scenario mai realmente considerato ma a parere mio plausibile è che de Jong e/o Everink avessero provato ad “aggiustare” alcuni incontri di tennis, probabilmente a livello Challenger. In quel periodo dall’interno del provider di Exchange Betfair, il più importante al mondo, uscirono delle notizie (mai confermate ufficialmente) di aumenti di flussi di denaro sospetti sulle partite di alcuni tennisti olandesi, anche in doppio. E gli stessi rumors uscirono da Bet365. E questi tentativi avrebbero potuto interessare le bande di criminali che muovono forti capitali in tal senso. Everink, questo sarebbe certo, conosceva alcuni di questi personaggi che gestiscono grandi somme nel betting: ungheresi, finlandesi, russi, anche italiani che poi reinvestono nei mercati asiatici che hanno moltissima liquidità. Se Everink si fosse messo in affari con questa gente, magari dando notizie o fornendo partite accomodate, avrebbe potuto senza dubbio pensare di approfittare dell’amicizia con De Jong. Il quale tuttavia, pur essendo uno scommettitore compulsivo, non avrebbe davvero accettato di taroccare dei match né di proporlo realmente ai suoi amici ed ex compagni e tantomeno a Robin Haase, che è al di sopra di ogni sospetto. Però de Jong avrebbe potuto millantare di averlo fatto. A quel punto con notizie false fornite a bande criminali disposte a tutto, per Everink si sarebbero prospettati giorni difficili, con un numero imprecisato di nemici pronti a fargli la pelle. Nel mondo del betting e nelle sue “storture” dare delle dritte sballate sia in malafede sia per leggerezza equivale a scavarsi la fossa da soli. E se fosse andata così, i 4 uomini che avrebbero immobilizzato De Jong potrebbero davvero esistere? E potrebbero aver fatto del male a Everink? O se fossero stati semplicemente dei sicari che volessero vendicare un approccio molesto da parte del miliardario olandese non nuovo a situazioni di questo tipo? In effetti pochissimo si è investigato in queste direzioni e il tema delle scommesse è stato trattato in modo marginale dai magistrati olandesi, forse anche condizionati dal ministero dello sport della nazione dei tulipani, non proprio felice di scoperchiare vicende di cui nessuno sta più parlando. Ma migliaia di euro giocati sui doppi di diversi tornei nelle settimane precedenti all’omicidio in cui giocavano tennisti riconducibili alle amicizie di Everink lasciano spazio a sospetti pesanti di aver in effetti voluto cercare un colpevole.
Alessandro Zijno